Il Museo Universale a Roma
È un anno di festa per la cultura in Italia, alla fine del sogno napoleonico. Ritorna l’arte, cioè le grandi opere trafugate dai francesi dal 1787 al 1814 per costruire a Parigi il Museo Rivoluzionario del Louvre, ribattezzato Napoleonico nel 1803. Sempre, nella storia, i vincitori nei loro bottini hanno voluto anche le opere d’arte. Così facevano i romani depredando gli originali greci per trasportarli nel Foro o negli ambienti patrizi, così farà Hitler in una storia avventurosa (raccontata da una attuale mostra agli Uffizi fiorentini), e così Napoleone. Geniale uomo di stato, il Corso aveva capito l’importanza dell’arte come veicolo di formazione sociale non solo della Nazione – cioè la Francia – ma pure di quell’Europa di cui voleva essere il dominatore anche a livello culturale. Perciò in ogni spedizione militare si portava dietro uomini colti, dall’Egitto all’Italia, per conoscere capolavori e portarli a Parigi, la nuova “scuola del mondo”, così come erano stata l’Italia e Roma nei secoli precedenti , verso cui gli artisti e gli uomini colti venivano in pellegrinaggio. Parigi sarebbe stata il cuore della formazione dei giovani artisti europei, cultori di un nuovo tipo di bellezza che recuperava il filo rosso della storia culturale dall’Egitto alla Grecia sino all’800.
Non era difficile in Italia raccogliere capolavori, dopo la laicizzazione forzata di chiese e conventi. Ma quali erano le opere d’arte che Napoleone e i suoi agenti culturali preferivano? Indubbiamente, quelle dell’Antichità e del Rinascimento, considerati dall’estetica del tempo come modelli di bellezza ideale, di virtù morale e di grande storia. Dal Vaticano così arrivarono così a Parigi l’Apollo del Belvedere, il Laocoonte, la Venere, e la Trasfigurazione di Raffaello – gli affreschi della Sistina per fortuna non erano trasportabili -, da Firenze i Tiziano e i Raffaello, ma non i Manieristi come Pontormo considerati stravaganti. Il Veneto fu ampiamente saccheggiato: Veronese soprattutto, di cui resiste tuttora al Louvre l’immensa Cena, un tempo a san Giorgio Maggiore, e poi i cavalli bronzei di san Marco. L’Emilia “donò” (si fa per dire) Correggio, Carracci, Domenichino e specialmente il “divino” Guido Reni, campione del classicismo secentesco e maestro indiscusso del “bello ideale”.
In un secondo tempo, l’attenzione dei Commissari si spostò sui Primitivi, ossia i maestri del Tre e Quattrocento. E così finirono al Louvre, Giotto e i pittori senesi, e molti sono ancora lì. Nessun Caravaggio, perché all’epoca non era considerato un grande.
Caduta la stella napoleonica, il Congresso di Vienna impose alla Francia, grazie all’intervento inglese, la restituzione dei capolavori, affidando il lavoro allo scultore Antonio Canova, celebre in tutta l’Europa, che dall’agosto al settembre 1816 condusse le trattative, riuscendo a portare in Italia ben l’80 percento delle opere. Esse tuttavia per gran parte non ritornarono negli ambienti primitivi, come in parecchie chiese o conventi. Diverse, in attesa di venire spostate a Parigi, erano poi rimaste a Venezia, Bologna o Milano. Sono nate allora le Pinacoteche a Brera, a Bologna, le Gallerie veneziane, quella vaticana e quelle nei centri minori del Paese, frutto anche delle donazioni di privati.
In realtà, il clima culturale era cambiato: nasceva una nuova sensibilità che dava il via alle raccolte museali dove il pubblico veniva educato al gusto per la bellezza, al fatto dell’arte come fattore di acculturazione sociale, di valorizzazione della propria identità nazionale, di apertura allo spirito. Un fine che continua tuttora a giustificare l’amore e la cura di tante persone per queste istituzioni, fondamentali per la elevazione non solo estetica, ma sociale delle persone.
Perciò salire oggi alla mostra del Quirinale e soffermarsi di fronte ai capolavori e alla loro storia spesso drammatica è quanto mai istruttivo e consolante. Perché sono ancora con noi la Venere italica di Canova e il Ritratto di Leone X di Raffaello, l’Assunta di Tiziano e il Compianto del Correggio, la Fortuna del Reni e il Giove di Otricoli, i santi del Perugino, di Cima e del Crivelli, e la sublime scultura da Ravenna del condottiero Guidarello Guidarelli, solo per citarne alcuni.
Una rassegna imperdibile, una lezione di storia, un invito ad amare e a conservare il patrimonio dei grandi maestri italiani e su quanto ci continuano a dire e a dare. La bellezza infatti non è mai muta, per chi la sa e la vuole ascoltare.
Poscriptum. Ogni tanto riaffiora la polemica sulle opere di Leonardo rimaste in Francia, come la Gioconda. Per chi non lo sapesse, almeno questa i francesi non ce la possono restituire. L’ha regalata Leonardo stesso al re Francesco I… Potrebbero invece ridare a Venezia, al museo di s. Giorgio Maggiore, la Cena del Veronese, ma questo è un altro capitolo. Delicatissimo.
Il Museo Universale. Dal sogno di Napoleone a Canova. Roma, Scuderie del Quirinale. Fino al 12/3 (catalogo Skira).