Musei: la controriforma di Bonisoli
La storia dell’arte nelle scuole? «Era una pena – dice il ministro Bonisoli –, cancelliamola». E così, come succede ad ogni cambio di governo, si cancella il passato. Anche Bonisoli, Cinque Stelle, si adegua, cancellando la riforma Franceschini del 2014 con questa scivolata in piena crisi governativa. Bonisoli parla di “riforma” contro l’eccessiva autonomia dei direttori dei musei. Controriforma, dicono invece in molti, in tono polemico.
Certo, si cambia il volto e le funzioni ai circa 200 musei italiani piccoli e grandi, togliendo autonomia a quelli più importanti, accorpando i musei di regioni intere – ad esempio Veneto e Lombardia – e mettendo al centro di tutto la Direzione generale a Roma, che controllerà le spese, i prestiti, le nomine. Con quanta velocità e competenza è lecito dubitarne, onestamente: la burocrazia centralizzata non ha mai fretta.
Cosa succederà e cosa sta già succedendo? Alcuni esempi. Nascono le Direzioni territoriali della rete museale al posto dei Poli museali autonomi, naturalmente collegate a Roma. Così quella della Lombardia – che comprende 28 musei – avrà il suo centro a Brera a Milano, che accorpa il Cenacolo vinciano, i cui incassi però non verranno redistribuiti tra i “piccoli” come finora, ma si sommeranno a quelli del complesso milanese, che si sta allargando: la “grande Brera”, come i “grandi Uffizi”.
E a proposito di accorpamenti – parola che piace per la sua ambiguità – gli Uffizi fiorentini, oltre al museo di San Marco, già da loro dipendente, si prendono pure le Gallerie dell’Accademia, con il David e i Prigioni di Michelangelo e un numero crescente di visitatori: 1,7 milioni l’anno, secondo posto nella classifica italiana. Indipendenti da 136 anni, perché la collezione non è medicea, ma ha una diversa storia.
Bonisoli, senza telefonare alla direttrice Cecile Holberg, da quattro anni al lavoro, con una mail le ha fatto comunicare che era sollevata dall’incarico e dal contratto, che invece scade il 30 novembre. Nessun ringraziamento ovviamente. Nemmeno da Eike Schmidt, direttore degli Uffizi a cui l’Accademia fa gola, anche se lui è in lizza per andare a Vienna, ma forse a questo punto rimarrà a Firenze.
Così Matera, capitale europea della cultura, vede perduta la sua realtà di centro del Polo museale lucano per la nascita della Direzione territoriale apulo-lucana delle reti museali. A Roma poi succede l’incredibile: Simone Quilici, da due mesi responsabile dell’Appia antica, è stato depotenziato perché il Parco ritorna alla Soprintendenza della capitale. Ci faranno un altro McDonald come stanno tentando a Caracalla e al Pantheon? E ci fermiamo qui, citando solo i danni ai piccoli musei delle Marche e dell’Umbria terremotati che stanno risorgendo. C’è poi il balletto delle nomine: cosa accadrà a James Bradburne di Brera,in scadenza, e a Peter Assman di Mantova?
L’impressione è di una fretta eccessiva e di una confusione di idee da una parte, della volontà di “punire” i direttori troppo “autonomi” (sul fronte dei prestiti è accaduto, in verità) ed anche i professionisti seri che lavorano nei piccoli e grandi musei con passione, rendendoli di fatto dipendenti da Roma.
Si parla di un bando di concorso per mille custodi: ma chi li preparerà ad un compito che oggi non può essere di solo controllo? All’estero i custodi sono gentili, preparati, vivaci. E da noi? Speriamo che questa riforma centralizzata venga ridimensionata da un ministro che non consideri una pena lo studio dell’arte, ma sappia pensare temi, spazi, luoghi e persone per salvare la nostra bellezza. E non trasformare i musei in megastore per far soldi.
Mario Dal Bello