Muri a secco, patrimonio Unesco
I muri a secco sono i confini in pietra tipici di alcuni paesaggi meridionali. Sono diffusi in Puglia, tra Bari, Brindisi e Taranto, nella valle d’Itria e nel Salento, nella costiera amalfitana, a Pantelleria, in Sicilia, in Valtellina.
Metodi primordiali per la difesa del territorio, per la realizzazione dei terrazzamenti e dei muri di contenimento nei terreni scoscesi, per la prevenzione del dissesto idrogeologico, per la salvaguardia e la difesa delle mandrie nelle zone dove era più diffusa la zootecnia.
Memoria di un’Italia che rischia di scomparire: un’arte ed una capacità tecnica non da poco quella degli antichi operai che realizzavano questi muretti con tecniche particolari, tagliavano la pietra e la utilizzavano in modo da rendere stabile tutta l’architettura, realizzata interamente a secco, talvolta solo con l’aggiunta di un po’ di terra.
La scelta delle pietre giuste, l’utilizzo attento e preciso facevano parte del patrimonio di conoscenze di antichi operai specializzati che oggi non ci sono più. Oggi, in molte regioni, si cerca di imitare quegli antichi muretti, sovrapponendo delle pietre squadrate su muretti realizzati in cemento. Un’imitazione che non fa onore, ma oggi non ci sono quasi più gli antichi operai cultori di quell’arte millenaria: un’arte che si è quasi estinta, così come tanti antichi mestieri delle nostre città nei secoli scorsi.
Non solo l’Italia aveva avanzato questa candidatura. Lo avevano fatto anche altri sette paesi: Croazia, Cipro, Francia, Grecia, Slovenia, Spagna e Svizzera.
E il riconoscimento è per otto Paesi europei (tutti che si affacciano sul Mediterraneo, tranne la Svizzera). Nella motivazione del premio, la commissione Unesco ha sottolineato il fatto che “le strutture a secco sono sempre fatte in perfetta armonia con l’ambiente e la tecnica esemplifica una relazione armoniosa fra l’uomo e la natura.La pratica viene trasmessa principalmente attraverso l’applicazione pratica adattata alle particolari condizioni di ogni luogo”.
In più, i muri a secco “svolgono un ruolo vitale nella prevenzione delle slavine, delle alluvioni, delle valanghe, nel combattere l’erosione e la desertificazione delle terre, migliorando la biodiversità e creando le migliori condizioni microclimatiche per l’agricoltura”.
E se Coldiretti sottolinea come il riconoscimento Unesco premi generazioni di agricoltori dei secoli passati che hanno fatto moltissimo per prevenire il dissesto idrogeologico e le frane, il ministro dell’agricoltura, Gian Marco Centinaio, ricorda “i valori dell’agricoltura riconosciuti come parte del patrimonio culturale dei popoli”.
E tra i riconoscimenti arrivati quest’anno, uno ha colpito tanti. Anche il “reggae” diventa patrimonio dell’umanità. Una musica ed un linguaggio musicale che dalla Giamaica ha varcato i confini fino a raggiungere tutto il mondo.
Il comitato Unesco ha voluto premiare non solo la musica, ma anche il messaggio che essa porta con se: i valori del riscatto sociale, della lotta contro l’ingiustizia, la resistenza contro le oppressioni, il riscatto sociale, l’amore, lo sguardo sull’umanità. Non è poco