Il disastro del Vajont, una ferita aperta
Ricorrono i 61 anni dalla distruzione della diga che lasciò 1.917 vittime e centinaia di dispersi
Si tratta di una delle pagine più dolorose della storia contemporanea italiana. Il 9 ottobre 1963, alle 22.39, una frana si stacca dal monte Toc e cade sul bacino artificiale del Vajont, provocando la distruzione della diga costruita tra il Friuli e il Veneto. Il risultato è catastrofico: quasi 2mila morti, almeno 400 dispersi e una decina di comuni travolti dall’ondata d’acqua.
Quella del Vajont «è una ferita ancora aperta per la nostra Terra», ha precisato il presidente del Veneto Luca Zaia, e ha aggiunto che «è sempre ricorrente di fronte a nuove sfide nel rapporto tra l’uomo e la Natura». Su questa scia le dichiarazioni di altri rappresentanti come Lorenzo Fontana, presidente della Camera dei deputati, che ha sottolineato come questa tragedia ricordi «l’importanza di un approccio responsabile alla gestione delle risorse naturali», o di Enoch Soranzo, vicepresidente del Consiglio Regionale del Veneto, secondo il quale «dobbiamo chiederci come possiamo proteggere il nostro territorio, assicurandoci che il progresso e lo sviluppo non vadano mai a scapito della sicurezza delle persone».