Gli Usa e il Regno Unito attaccano i miliziani nello Yemen
Aumenta la tensione nel mar Rosso, dove ci sono stati almeno 73 bombardamenti contro i miliziani Houthi da parte dell’Occidente.
È successo nella notte tra giovedì 11 e venerdì 12 gennaio. In seguito al via libera da Washington, gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno dato inizio a una serie di attacchi mirati contro postazioni militari Houthi nello Yemen, con l’obiettivo dichiarato di ripristinare «la stabilità nel mar Rosso».
L’attacco ha avuto il sostegno di altri Paesi alleati: Paesi Bassi, Australia, Canada e Bahrein. I bombardamenti, almeno 73 secondo il portavoce degli Houthi Muhammad Abdul Salam, sono arrivati in risposta agli attacchi che i ribelli Houthi portano avanti contro navi mercantili internazionali da ottobre, dopo che è iniziata la guerra tra Hamas e Israele, in supporto della Palestina.
Muhammad Abdul Salam ha dichiarato ad Al Jazeera: «Non abbiamo preso di mira nessun Paese al mondo tranne Israele. Continueremo a prendere di mira le navi israeliane dirette verso di loro fino alla fine dell’aggressione contro Gaza». Inoltre, ha affermato che gli attacchi di Usa e Regno Unito «non resteranno senza risposta».
Da parte sua, Joe Biden ha affermato che non esiterà «a prendere ulteriori misure per proteggere il nostro popolo e il libero flusso del commercio internazionale, se necessario». Per l’Occidente, la via che collega l’Asia e l’Europa attraverso il mar Rosso è importantissima per il commercio: attraverso essa passano tra il 12% e il 15% del traffico globale.
I miliziani Houthi contano sul sostegno dell’Iran, il cui ministro degli Esteri Nasser Kanani ha condannato gli attacchi e li ha definiti come «un’azione arbitraria, una chiara violazione della sovranità e dell’integrità territoriale dello Yemen e una violazione del diritto e dei regolamenti internazionali».
A questo proposito si è pronunciato anche l’esponente di Hamas Sami Abu Zhouri: «Questa aggressione indica la decisione di espandere l’area del conflitto al di fuori della Striscia. Questo avrà delle conseguenze».
Per il presidente turco Recep, Tayyip Erdogan, questo uso «sproporzionato della forza» darà origine a «un bagno di sangue nel mar Rosso». Secondo fonti del Palazzo Chigi, all’Italia è stato chiesto di sottoscrivere la dichiarazione congiunta di Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Bahrein, Canada, Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Nuova Zelanda e Corea del Sud per «allentare le tensioni e ripristinare la stabilità nel mar Rosso», ma il governo non ha accettato la petizione.
Foto ANSA