Pace in Terrasanta

Firenze città sul monte,10 mila persone a San Miniato

"Con ogni palestinese e ogni israeliano dalla parte degli oppressi". Una marcia silenziosa e senza bandiere promossa dall'abate di San Miniato al Monte

Firenze chiede la pace e risponde compatta all’appello dell’abate di San Miniato, manifestando con la forza del silenzio, unita per unire, con i rabbini, l’imam, le associazioni cattoliche, i sindacati, le forze politiche, senza bandiere e senza slogan. Nella serata di lunedì 23 ottobre 2023 oltre 10mila persone hanno camminato insieme, dall’Arno al monte di San Miniato, dove dom Bernardo, ha rotto il silenzio gridando per tutti la parola pace.

In prima fila l’imam Izzedin Elzir, palestinese di Hebron, e il rabbino Gadi Piperno

Mai nella storia della città si era vista una folla così numerosa e plurale, così unita, nel “levare alto i pensieri e stringersi la mano sugli spalti di pace, nel segno di San Miniato”.

Qui di seguito l’appello  lanciato il 19 ottobre 2023 da padre Bernardo dell’abbazia di San Miniato al Monte

Care concittadine, cari concittadini,
le scene raccapriccianti di uomini donne e bambini cercate casa per casa, le uccisioni deliberate di inermi a sangue freddo hanno risvegliato dal torpore la nostra coscienza che in questi ultimi, terribili giorni dovrebbe aver acquisito una volta per sempre che la guerra e i suoi perversi propositi di pulizia etnica, ovunque essi si manifestino, segnalano che la nostra umanità ha sconfitto se stessa affermando il primato della violenza assassina e quello, sempre seducente, della ritorsione rispetto alla via, senza dubbio ardua ma così qualificante e costruttiva, del dialogo, della reciprocità e della condivisione. Scartare questo tracciato, pur segnato da inevitabili curve e salite, per imboccare pericolose scorciatoie, significa infatti deprimere la nostra visione della storia in una disperata e cinica rassegnazione al male e soprattutto rinunciare alla possibilità non utopica, ma concretamente necessaria, ragionevole e ineludibile che ogni nostro pensiero e ogni nostra azione sappiano sempre e dovunque propiziare il bene della giustizia e quindi la pacifica convivenza fra le legittime aspirazioni e i diritti di popoli e culture diverse. Nella luce di questa esigente, ma anche appassionante consapevolezza per tutte e tutti, senza distinzioni di fede e di sensibilità politica, Gerusalemme, il cui nome significa «città della pace», e tutta la regione mediorientale sono luoghi simbolici, ma reali nel cui fascinoso e sofferto splendore plurimillenario, accanto ad una irresistibile forza di ispirazione,  si verifica con particolare urgenza come solo la pratica della pace possa generare un futuro che sia veramente capace di appassionare al bene della vita e alla responsabilità creativa il cuore e l’intelligenza delle nuove generazioni, lì come altrove. Per noi, poi, che viviamo in questo insigne crocevia di arte e di ingegno, dovrebbe sempre risuonare nel cuore la voce forte e profetica del sindaco Giorgio La Pira che ancora oggi ci invita a guardare alla nostra Firenze come la «città sul monte: bella, come la Gerusalemme messianica, irradiante pace e luce». Di fronte a tale bellezza, cercandone una finalità non semplicemente turistica, lo stesso La Pira si domandava inquieto: «La crisi dei popoli sta nel pericolo tremendo di una nuova guerra scardinatrice di ogni città e di ogni nazione? Ebbene: siano i popoli “convocati” -per così dire- in questa città della pace […] e da essa parta un messaggio sempre rinnovato di pace e di speranza». Care concittadine e cari concittadini, il privilegio che è vivere a San Miniato al Monte quasi mi obbliga a gridare queste parole, condividendo adesso con voi quella coraggiosa «convocazione» se non di popoli diversi, almeno di tutta la cittadinanza, perché salendo su questo monte, tornando a contemplare da quassù la bellezza splendida e sempre vulnerabile della nostra città, ci riappropriamo di quanto ci accomuna come uomini e donne: la responsabilità di custodire e promuovere la vita nell’armonia della pace, la scelta sistematica di ripudiare il terrorismo e la guerra, la premura con cui porsi in attento ascolto dell’appello che ci arriva dai nostri giovani i quali, desiderando domani partecipare in pienezza alle vicende della polis, esigono giustamente da parte nostra una vera e credibile educazione al primato del bene comune, contro ogni sterile e interessata faziosità e contrapposizione. Vi invito dunque, in queste ore oscure di angoscia, di smarrimento e di motivate preoccupazioni per il futuro non solo di quella o di quell’altra regione del nostro pianeta, ma per l’avvenire dell’intera famiglia umana, ad affrontare lunedì sera la salita che conduce a questo monte: non avremo parole da pronunciare, slogan da gridare, vessilli da esibire: i nostri volti, i nostri sguardi, il nostro silenzio, la nostra coscienza memore tanto del dolore degli ostaggi e dei loro congiunti, quanto del fiume di sangue, in grande parte innocente, versato in questi giorni di ferocia, e, ancora, il fuoco amico di fiaccole accese come argine al buio della notte, saranno -loro soltanto- il nostro «messaggio sempre rinnovato di pace e di speranza». Sarebbe veramente un dono nel dono se accogliessero questo mio fraterno invito le amiche e gli amici della comunità israelitica e della comunità islamica che con la loro presenza esprimono da molto tempo la ricchezza organica e plurale della nostra concittadinanza. Averle su a San Miniato al Monte lunedì sera, abbracciate dal nostro disinteressato affetto e dal nostro profondo rispetto per la loro indicibile sofferenza, sarebbe veramente un segno profetico di incalcolabile valore e significato, la cui fecondità di bene, ben oltre i contingenti steccati dell’odio e del sospetto, restituirebbe alla nostra città la possibilità di tornare a ridire al mondo intero con più verità e speranza quanto, alludendo all’invenzione fiorentina dell’umanesimo, il poeta Mario Luzi ebbe a dire, salutando nel 1986 in piazza Signoria Giovanni Paolo II, papa amico e insonne difensore della pace in medio oriente: «L’uomo: si imparò qui a Firenze a dire questa parola con particolare intenzione; come intendo un prodigio in cui la creazione si fosse identificata con il creatore; o come di un mistero di cui fosse impossibile delineare i contorni».

Foto Maurizio Certini

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