Cosa vanno a fare i nonviolenti ad Odessa? Intervista a Tonio Dell’Olio
È in partenza per Odessa, nell’Ucraina in guerra, un missione dei movimenti per la pace riuniti nella coalizione Stop The War Now. Dialogo aperto con don Tonio Dell’Olio sulle ragioni di un viaggio dentro le contraddizioni di una guerra che, in 4 mesi, registra, secondo fonti Onu, 10 mila vittime civili. La nonviolenza attiva non si improvvisa ed è il contrario esatto dell’indifferenza perché si schiera dalla parte delle vittime
Ora e sempre resistenza. Contro la violenza e la sopraffazione non si può restare indifferenti. Sono questi i punti cardinali di chi opera la scelta della nonviolenza attiva, che è l’opposto di ogni idea di resa di fronte all’ingiustizia.
Per questo motivo chi si ribella alla logica della guerra avverte l’esigenza di esporsi in prima persona, di fare interposizione nei luoghi di conflitto come dimostra nei fatti il corpo nonviolento di pace dell’Operazione Colomba, promossa dalla Comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23), che ad esempio in Cisgiordania sostiene la resistenza popolare nonviolenta dei pastori palestinesi che cercano di opporsi all’espansione violenta dei coloni integralisti israeliani sostenuti, di fatto, dall’autorità di Tel Aviv.
Ed è grazie alla Apg23 che è stata promossa “Stop the War now– facciamo la pace”, la missione condivisa di molte associazioni italiane che si sono recate il 2 aprile a Leopoli, in Ucraina, per portare aiuto alla popolazione, evacuare le persone più fragili dalle zone di guerra e tentare un contatto con la società civile nella ricerca, dal basso, di soluzioni di pace.
Non sono azioni da promuovere in maniera avventata o tali da essere strumentalizzate delle parti in conflitto, esponendo i volontari ad un pericolo di vita, anche se il rischio esiste se ti rechi in un Paese in guerra.
È necessaria una formazione alle pratiche nonviolente perché non basta la buona volontà o la presunta mitezza personale. Partirono con questo bagaglio pratico e ideale, nel 1992, verso la città di Sarajevo assediata dall’esercito serbo bosniaco, circa 500 persone che risposero ad una proposta lanciata tra gli altri dal vescovo di Molfetta, Tonino Bello. Ed è a partire da questo precedente che bisogna partire se vogliamo capire cosa si può fare, oggi, davanti allo scenario sconvolgente della guerra in Ucraina. Lo possiamo fare grazie don Tonio Dell’Olio che ha vissuto l’esperienza del 1992 nella ex Jugoslavia fatta a pezzi dalla rottura degli equilibri geopolitici avvenuta dopo la caduta del Muro di Berlino.
In questi 30 anni don Tonio ha lavorato intensamente con compiti di responsabilità nel movimento cattolico Pax Christi e in Libera, rete contro le mafie, dove ha operato a livello internazionale sostenendo, ad esempio, i giornalisti messicani sotto attacco mortale da parte dei clan del narcotraffico.
Dell’Olio sa quindi molto bene di cosa parla. Ci ha detto che, al momento, pur volendo con tutto il cuore, non è possibile promuovere una vera e propria azione di interposizione nonviolenta ma che è importante assicurare un contatto diretto con la popolazione, non solo per operazioni di aiuto umanitario.
Per questo motivo guiderà la nuova missione della coalizione Stop the war now che partirà il 24 giugno per Odessa, la città costiera sul Mar Nero che vanta forti legami storici con l’Italia. Ivi stazionano i bastimenti ucraini pieni di grano che non possono salpare perché il porto è minato per ostacolare l’arrivo delle navi russe. Uno stallo drammatico capace di scatenare la carestia alimentare in mezzo mondo.
Don Tonio attualmente è il presidente della Pro Civitate Christiana di Assisi, una realtà consolidata di avanguardia fondata nel 1939 per «contribuire a fare cristiana l’anima del proprio tempo».
Nell’intervista video con Dell’Olio, che proponiamo qui di seguito, abbiamo cercato, quindi, di affrontare direttamente alcune contraddizioni di questa guerra che vede i Paesi Ue schierati compattamente con la Nato nella fornitura di sistemi d’arma pesanti all’esercito ucraino in una guerra che appare senza via di uscita e ha già provocato in 4 mesi, secondo stime dell’Onu, circa 10 mila vittime civili.
Come ha confermato Mario Draghi nella sua visita in Ucraina, effettuata il 16 giugno assieme al cancelliere tedesco Scholz e al presidente francese Macron, «siamo venuti qui per cosa? Per aiutare l’Ucraina nella guerra, perché se l’Ucraina non riesce a difendersi non c’è pace».
Cosa vanno a fare in Ucraina, e perché, i rappresentanti di un variegato movimento per la pace che non “vogliono aiutare nella guerra” e considerano perdente e controproducente la logica delle armi?
—