La guerra non ha senso, servono solidarietà, vicinanza, speranza
La percezione dei giovani latinoamericani della guerra in Ucraina: un conflitto geograficamente lontano, ma vissuto attraverso i social.
La guerra a cui stiamo assistendo in Ucraina nelle ultime settimane è una situazione miserevole che colpisce tutti i cittadini del mondo, ovunque essi siano. Un evento triste e deplorevole che segnerà la storia e che segna le nostre coscienze oggi, quando osserviamo senza sapere bene cosa fare che, nel XXI secolo, continuiamo a ucciderci a vicenda per interessi geopolitici o economici.
Anche se non la viviamo in prima persona, questa è una guerra che ci riguarda tutti. A livello umanitario, naturalmente, gli ucraini stanno sperimentando sulla loro pelle l’orrore della guerra, e devono scegliere – quando e se ne hanno l’opzione – tra abbandonare tutto ciò che hanno e fuggire dal loro Paese per cercare di salvare le loro vite, o rimanere e combattere per la libertà della loro patria a rischio della propria esistenza. I cittadini russi hanno cominciato a pagare le conseguenze delle azioni del loro rappresentante politico, venendo esclusi da eventi sportivi o artistici, mentre la Russia dovrà sostenere i costi delle pesanti sanzioni che altri Paesi, principalmente l’Ue e gli USA, le stanno imponendo economicamente. Anche gli Stati europei stanno soffrendo a causa delle misure adottate per “punire” il gigante asiatico, come il blocco delle importazioni di gas dalla Russia. E anche Paesi di continenti lontani come l’America Latina, a migliaia di chilometri di distanza, ne patiscono mentre vedono aumentare il prezzo dell’oro o del grano a causa di questa follia bellica.
E come società nel suo insieme, come possiamo andare avanti sapendo che non siamo riusciti a costruire la pace, a usare il dialogo come unica arma per trovare la fratellanza universale? Come possiamo dire ai nostri figli o nipoti che purtroppo sì, dopo una prima e una seconda guerra mondiale, abbiamo assistito anche a una terza – anche se ci era chiaro che non avremmo mai dovuto ripeterle dopo tutti i danni fatti e la sofferenza subita?
Mentre la guerra esplode nell’Europa dell’Est, mi trovo in Argentina, apparentemente “al sicuro” e lontano dal conflitto. Tuttavia, lo sento prossimo, e sono spaventata dal futuro che dovremo affrontare come umanità. Mi avvicino ai giovani del mio Paese per capire come stanno affrontando questo clima di guerra che è costantemente presente nei media. L’incredulità è ciò che percepisco di fronte a una risposta armata inaspettata, che è considerata “obsoleta, qualcosa del passato”.
L’idea di fondo è che “non abbiamo imparato nulla”, e un forte rifiuto della guerra. I giovani non possono credere a quello che sta succedendo, proprio perché «non c’è nessuna spiegazione o difesa possibile da nessun punto di vista», come afferma Armando, un giovane della città di Paraná. Non hanno mai vissuto la guerra in prima persona, ma i loro genitori sì, perché erano bambini quando l’Argentina e l’Inghilterra si sono scontrate in un conflitto assurdo per il possesso delle Isole Malvine. Hanno trasmesso loro l’orrore della guerra, le sofferenze e i morti che ha lasciato, e ora le nuove generazioni sono certe che la guerra non risolve nulla, che la violenza non è il modo di risolvere i conflitti, e sono totalmente contrarie.
Un altro punto che emerge nel dialogo con i giovani latinoamericani è la mancanza di informazioni accurate nei media, i quali trasmettono una realtà frammentata e generano disinformazione. Nonostante ciò, hanno trovato dei canali alternativi, cioè i social media, che avvicinano il conflitto e permettono di seguire i fatti in tempo reale. Non è più una guerra lontana, ma l’abbiamo “dentro le nostre case”, nelle nostre mani attraverso i nostri cellulari.
Il contesto dell’Argentina in questa guerra è altrettanto importante: pur non appoggiando la decisione del presidente Putin riguardo il conflitto bellico, il governo di Alberto Fernández era stato finora un alleato della potenza russa. Il Paese fu il primo ad approvare l’uso del vaccino Sputnik V contro il coronavirus, e l’ultima visita del presidente al Cremlino ha avuto luogo il 4 febbraio, soltanto venti giorni prima dell’inizio della guerra.
Tra i giovani c’è chi critica anche “l’ipocrisia” degli Stati Uniti, uno dei principali condannatori della guerra insieme ai Paesi europei, per non essersi opposti allo stesso modo a tutte le altre guerre nel mondo, ma per averne perpetuate alcune, come la guerra in Iraq.
Di tutti i pensieri scambiati con i giovani argentini, ciò che mi colpisce e mi rimane nel cuore si può riassumere in tre parole: solidarietà, vicinanza, speranza. Confrontandomi con loro, ho capito che in mezzo alla calamità sanno trovare il positivo, cioè l’empatia, il desiderio di essere al servizio, di aiutarsi gli uni gli altri, di essere compagni di strada nonostante la distanza geografica.
Nell’incontro conclusivo del 3 marzo del corso di formazione agile sul dialogo interculturale e interreligioso organizzato da Città Nuova, la rabbina argentina Silvina Chemen ha condiviso una riflessione personale che a mio parere riassume tutto questo e pone obiettivi concreti per andare avanti: «Ogni guerra è un fallimento, ma anche una lezione: pensare al dialogo come un impegno attivo a lavorare seriamente nei vari campi di influenza sociale. È un comandamento lavorare seriamente al dialogo, perché è urgente. La guerra ci sfida a non essere fermi, deve avvenire una trasformazione strutturale. Le università dovrebbero sviluppare questa capacità nella formazione di tutte le carriere. La poca esperienza che abbiamo tutti in maniera marginale non basta.
Un’altra lezione è la consapevolezza del potere dei media nella gestione della consapevolezza sociale, perché modellano il nostro pensiero e nascondono altre realtà. Il dialogo è anche impegno nella formazione e nella ricerca; lasciare il conforto per capire qual è il nostro posto nel mondo, perché sebbene non siamo tutti lì in Ucraina, la nostra umanità è ferita. Per me è una lezione, una sfida. Questa guerra ci dice che non abbiamo fatto abbastanza, che dobbiamo lavorare tantissimo per incidere sulla realtà dell’umanità».
C’è un altro argentino molto noto che si oppone apertamente alla guerra e chiede con forza un cessate il fuoco. Penso che sia giusto concludere questo articolo sottolineando le parole di papa Francesco alla fine della preghiera dell’Angelus di domenica 6 marzo in Piazza San Pietro: «La guerra è una pazzia. Fermatevi, per favore».