La tratta delle donne, dei migranti e dei piccoli schiavi
Il 30 luglio è la giornata mondiale contro la tratta di esseri umani.
Per la giornata mondiale contro la tratta di esseri umani, proclamata nel 2013 dall’Onu per il 30 luglio, l’organizzazione non governativa Save the children ha pubblicato un rapporto dal titolo “Piccoli schiavi invisibili. Fuori dall’ombra: le vite sospese dei figli delle vittime di sfruttamento”. Lo fruttamento delle persone, si legge nel rapporto, con il Covid è aumentato. «La pandemia – scrivono da Save the children – ha inciso con forza tanto sulle reti criminali e le forme di tratta e sfruttamento, quanto sulla vulnerabilità delle vittime, oltre che sull’emersione del fenomeno. I trafficanti si sono adeguati al mutato contesto, spostando lo sfruttamento in spazi dove il controllo è meno presente e i margini di profitto maggiori. In particolare per quanto riguarda lo sfruttamento sessuale, la strada sta lasciando sempre più il passo all’indoor: appartamenti e luoghi chiusi dove le vittime sono difficilmente raggiungibili dalle azioni di outreach e contatto. Anche il cyber-space sta diventando uno spazio di sfruttamento sempre più diffuso. Tali tendenze, già visibili prima della pandemia, dal 2020 hanno subìto una forte accelerazione».
C’è poi il capitolo del lavoro minorile. Nel rapporto di Save the children si legge che secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) «per la prima volta da quando, nel 2000, ha iniziato a pubblicare le stime sul fenomeno, i progressi raggiunti sembrano subire una battuta d’arresto. Nel corso del 2020 sono stati circa 160 milioni i bambini e gli adolescenti tra i 5 e i 17 anni coinvolti in forme di sfruttamento sul lavoro: 97 milioni di bambini e ragazzi e 63 milioni di bambine e ragazze, 8,9 milioni in più rispetto al 2016. Quasi la metà – 79 milioni di bambini e adolescenti tra i 5 e i 17 anni, in aumento di 6,5 milioni rispetto al 2016 – ha svolto lavori potenzialmente dannosi per la salute e lo sviluppo psico-fisico6. Particolarmente preoccupante è l’aumento del fenomeno nella fascia d’età 5-11 anni, che rappresenta il 55,8% del totale, con 89,3 milioni di bambini costretti a lavorare, 16,8 milioni in più rispetto al 2016. Una tendenza che secondo OIL rischia di peggiorare a causa della crisi legata al Covid-19, le cui conseguenze potrebbero spingere verso il lavoro minorile 9 milioni di bambini in più entro il 2022. Di questi, seguendo le tendenze attuali, più della metà (circa 4,9 milioni) sarebbero bambini di età compresa tra i 5 e gli 11 anni».
C’è inoltre la questione dei figli delle donne sfruttate: bambini spesso nati in condizioni precarie, figli di violenze e abusi, che si trovano a vivere una vita difficile e incerta. Per Save the children «è urgente assicurare adeguata protezione a loro e ai genitori – in prevalenza giovani madri sole -, ma anche guardare più in là, verso la costruzione di percorsi di inclusione sociale con cui accompagnarli fuori dai contesti di sfruttamento e garantire una piena realizzazione di sé. La tutela dei minori passa dunque per quella dei genitori, garantendo loro tanto la possibilità di emersione e fuoriuscita quanto sostenendo la loro reale autonomia sociale ed economica, scongiurando i rischi di re-trafficking».
I più a rischio sfruttamento sono dunque bambini, donne, migranti. Ecco perché Save the children sollecita il governo ad emanare al più presto il nuovo Piano Nazionale d’Azione contro la tratta e il grave sfruttamento di esseri umani, con specifica considerazione dei bisogni e delle esigenze dei minorenni, tanto vittime dirette di tratta quanto figli/e di donne sfruttate e vittime di tratta. Serve anche un sistema di presa in carico per i/le bambini/e figli/e di vittime di tratta e sfruttamento, e si deve adottare una politica mirata alla protezione dell’infanzia per questo particolare gruppo di minori, anche attraverso l’elaborazione di un intervento ad hoc all’interno del nuovo Piano Nazionale d’Azione. Si deve inoltre garantire alle ragazze e alle donne vittime di tratta e sfruttamento o a rischio che abbiano figli a carico «l’attivazione di percorsi educativi, di presa in carico individuale e di rielaborazione del trauma che riguardino anche i figli, inseriti insieme alle madri nelle case di fuga e in progetti di protezione».