Italia Iraq, il ponte che resiste
Verso la visita di papa Francesco in Iraq. Intervista video a Martina Pignatti e Raid Michael di Un ponte per…, l’organizzazione italiana nata nel 1991 durante la prima guerra del Golfo.
Esiste un ponte solido tra l’Italia e l’Iraq, il nostro Paese è un giacimento di feconda umanità, capace di ripudiare la logica della guerra e cercare di costruire un mondo migliore. Ne è esempio la storia di Un ponte per… nata durante la prima guerra del Golfo.
Il 28 febbraio del 1991, trenta anni fa, il presidente statunitense George Bush dichiarò formalmente il cessate il fuoco della guerra lampo Desert storm contro l’Iraq di Saddam Hussein, iniziata il 17 gennaio. Una guerra che lasciò sul campo, secondo una delle stime riportate da vatican.news, oltre 5 mila civili, almeno 30 mila soldati iracheni e circa 500 militari della coalizione dei 34 Paesi guidata dagli Usa. Altre fonti parlano di molte più vittime accertate (200mila persone) con conseguenze di lungo periodo, tra le quali le malattie sofferte negli anni dalla popolazione civile, soprattutto i bambini, per via delle armi chimiche.
Le cause e le conseguenze di quel conflitto, l’enorme spiegamento di forze (mezzo milione di soldati) da parte occidentale a ridosso dello sgretolamento del blocco sovietico, non possono essere rimosse. Devono essere studiate bene perché collegate ad un evento decisivo nella storia mondiale e in quella del nostro Paese che, per la prima volta dopo il 1945, partecipò attivamente, durante il governo Andreotti VI, ad un conflitto con le unità navali e l’uso dei cacciabombardieri.
La complessità e la tragicità della vicenda si può intuire con riferimento al controllo delle risorse petrolifere e alle strategie di carattere geopolitico che, ad esempio, videro, poco tempo prima della guerra del Golfo, gli Usa come finanziatore dell’Iraq nel lungo e violentissimo scontro bellico (un milione di morti da tutte le parti) con l’Iran degli ayatollah.
Ma proprio in quell’Italia, avviata verso lo scandalo di “tangentopoli” dell’anno successivo, e che prendeva parte ad una guerra in base alla giustificazione del mandato Onu (unico voto contrario nel consiglio di sicurezza da parte di Cuba e Yemen), un pezzo di società cercò fino alla fine di opporsi in diversi modi a quella che appariva, come disse Giovanni Paolo II, “un’avventura senza ritorno”.
Già all’epoca, tra l’altro, giuristi autorevoli come Antonio Papisca misero in evidenza il contrasto di quella scelta politica con la Costituzione: l’intera operazione della coalizione militare guidata dagli Usa non poteva considerarsi una “azione di polizia internazionale delle Nazione Unite”, gestita direttamente dall’Onu per perseguire gli obiettivi consentiti alle Nazioni Unite che non possono essere di “guerra”, cioè di distruzione di territorio e di popolazione contro un “nemico indistinto” da “debellare”.
Il 1991 rappresenta, perciò, una data spartiacque a livello mondiale e in particolare per l’Italia che partecipò, pochi anni dopo, nel 1999, durante il governo D’Alema, ad altre operazioni belliche nel conflitto che devastò l’ex Jugoslavia.
A prescindere dalla rimozione collettiva seguita a questi eventi, che continuano a determinare la storia e il presente di interi popoli, c’è sempre stata una parte di società che non si è mai arresa alla logica dell’indifferenza.
Esemplare in questo senso la realtà di “Un ponte per…” , ong nata proprio nel 1991 per rispondere ad una domanda che pose Ernesto Balducci, religioso dell’ordine degli Scolopi, voce autorevole del cattolicesimo conciliare fiorentino : «Ai morti chi ci pensa?».
Come racconta Fabio Alberti, che è stato il primo presidente della organizzazione nata appunto con il nome “Un ponte per Baghdad”, non poteva bastare dire “no” ad una “guerra spettacolo” che, come le successive, non è stato possibile fermare, ma «era necessario fare qualcosa per risarcire le donne e gli uomini» di un Paese che, in 40 giorni di attacco, è stato colpito da «più bombe di quante non ne fossero esplose in tutta la seconda guerra mondiale».
Un risarcimento quindi, non un dono che cade dall’alto. Una compromissione e condivisione fatta di storie e di volti con un nome e cognome.
Seguendo questa intuizione l’ong è cresciuta in 30 anni di attività, espandendo la propria azione oltre l’Iraq, facendo conoscere la vivacità e ricchezza di una società civile fiorente (come abbiamo già riportato su cittanuova.it) nonostante tutto, in terre conosciute prevalentemente attraverso la rappresentazione filmica delle guerre e delle stragi.
Conoscere l’esperienza attuale di Un ponte per…, aiuta, quindi, a comprendere il senso profondo del viaggio di papa Francesco in Iraq dal 5 all’8 marzo 2021. Come afferma, infatti, Stefania Falasca di Avvenire «Il papa va in Iraq dove si può applicare la fraternità come metodo anche per le relazioni internazionali, per superare le crisi, per superare gli ostacoli di un mondo che altrimenti è volto ad implodere».
È a partire da questa consapevolezza che, in prossimità del viaggio del papa, ci siamo collegati con Martina Pignatti, direttrice dei programmi dei programmi di Un ponte per…, e direttamente dalla città irachena di Erbil, con Raid Michael, country director in Iraq della ong.
Durante le tappe del suo viaggio, si spera che Francesco possa incontrare anche Walking arts, un gruppo musicale che vede la partecipazione di circa 170 giovani iracheni di diverse appartenenze etniche e religiose, uomini e donne, inclusi alcuni disabili e rifugiati siriani. L’iniziativa è nata dalla collaborazione di Un ponte per… con il maestro Luca Chiavinato, concertista di liuto rinascimentale, per promuovere un messaggio di tolleranza e riconciliazione tramite la musica.
Assieme a tante emergenze, il popolo iracheno, tra l’altro, come sottolinea Martina Pignatti, nell’intervista video, deve fronteggiare il pericolo della pandemia con un accesso limitato alle cure per le restrizioni alla disponibilità al vaccino che accomuna tanta parte del mondo esclusa da una gestione iniqua della salute globale. Una ragione in più per stabilire rapporti di solidarietà e continuare a costruire un ponte tra Italia e Iraq.