Francesco in Iraq e l’onda lunga della storia
Francesco visto da Antonio Negri: «Si sbaglia chi pensa di misurare in un tempo breve quello che accade sotto i nostri occhi e che gran parte dei media, forse stupiti, stenta ad accettare: il peso specifico di questo viaggio lo soppeseremo nell’onda lunga della storia ma già nell’immediato Bergoglio ha instaurato un clima mai visto in questo Paese che ha vissuto 40 anni di guerre, di morte, di sopraffazione dei più deboli e vulnerabili»
«Ma perché la gran parte dei giornali riservano uno spazio così ridotto allo storico viaggio del papa in Iraq? Lo mettono in scaletta quasi fosse una sagra di paese». Alla fine la domanda se le è posta anche Carlo Romeo durante la storica rassegna stampa di radio radicale, “Stampa e regime”. A proposito di “regime” la risposta dovrebbe essere semplice: perché dare voce a chi non smette di parlare dell’abominio della guerra e di chi la finanzia? Perché riportare senza banalizzare il suo appello a riconoscere l’emigrare un diritto umano come quello di restare in un territorio sicuro e in pace?
Ma è miope misurare ciò che è accaduto dal 5 al 8 marzo 2021 con la visita del papa in Iraq secondo il criterio della notizia che nasce e muore in poche ore.
Oltre ai numerosi contributi su cittanuova.it, il prezioso lavoro del quotidiano Avvenire e ovviamente dell’Osservatore Romano, merita riportare quanto ha scritto in diretta su Il Manifesto, Alberto Negri, uno dei più noti e autorevoli inviati all’estero nelle zone di guerra, con una lunga esperienza a Il Sole 24 ore:
«In poche ore Bergoglio in Medio Oriente sta facendo più di chiunque altro in un secolo di guerre e massacri, di falsi accordi e di pacificazioni effimere. Si sbaglia chi pensa di misurare in un tempo breve quello che accade sotto i nostri occhi e che gran parte dei media, forse stupiti, stenta ad accettare: il peso specifico di questo viaggio lo soppeseremo nell’onda lunga della storia ma già nell’immediato Bergoglio ha instaurato un clima mai visto in questo Paese che ha vissuto 40 anni di guerre, di morte, di sopraffazione dei più deboli e vulnerabili.
«Cos’è il coraggio di cambiare il mondo? È quello di Bergoglio che in direzione ostinata e contraria, quando tutti lo sconsigliavano dall’andare in Iraq, ha sfidato i consigli più ipocriti, degli americani e dei venditori di morte occidentali. E lo ha detto anche nella biblica piana di Ur dove oltre a condannare il terrorismo in nome della religione si è scagliato contro ogni forma di oppressione e prevaricazione».
Papa Francesco, tornato a Roma, nell’udienza del 10 marzo ha ribadito un concetto chiave che resta segno di contraddizione e incomprensione per orecchie che non vogliono intendere
«Il popolo iracheno ha diritto a vivere in pace, ha diritto a ritrovare la dignità che gli appartiene. Le sue radici religiose e culturali sono millenarie: la Mesopotamia è culla di civiltà; Baghdad è stata nella storia una città di primaria importanza, che ha ospitato per secoli la biblioteca più ricca del mondo. E che cosa l’ha distrutta? La guerra. Sempre la guerra è il mostro che, col mutare delle epoche, si trasforma e continua a divorare l’umanità. Ma la risposta alla guerra non è un’altra guerra, la risposta alle armi non sono altre armi.
E io mi sono domandato: chi vendeva le armi ai terroristi? Chi vende oggi le armi ai terroristi, che stanno facendo stragi in altre parti, pensiamo all’Africa per esempio? È una domanda a cui io vorrei che qualcuno rispondesse. La risposta non è la guerra ma la risposta è la fraternità. Questa è la sfida per l’Iraq, ma non solo: è la sfida per tante regioni di conflitto e, in definitiva, è la sfida per il mondo intero: la fraternità. Saremo capaci noi di fare fraternità fra noi, di fare una cultura di fratelli? O continueremo con la logica iniziata da Caino, la guerra? Fratellanza, fraternità».
foto AP