Elezioni presidenziali in Ecuador, verso il ballottaggio
Al centro della contesa del Paese latinoamericano ( circa 16 milioni e mezzo di abitanti) la scelta del modello economico di gestione delle risorse naturali e il rapporto con gli Stati Uniti d’America
I conteggi dei voti vanno confermati ma è possibile che al ballottaggio del prossimo 11 aprile andrà anche Yaku Pérez Guartambel, candidato del movimento indigeno Pachakutik che ha raccolto il 19,74 % dei consensi.
Su 16 candidati nessuno ha superato la maggioranza del 50%, o del 40% con distacco di 10 punti dal secondo. Primo classificato, con il 32%, Andrés Arauz, alla guida di una coalizione che si può definire di centrosinistra, Unione per la speranza, e che esprime una continuità con l’ex presidente Rafael Correa.
Nelle elezioni presidenziali indette per sostituire l’uscente Lenin Moreno hanno ricevuto significativi consensi anche Guillermo Lasso (19, 49%), espressione della coalizione di centrodestra Creo (che contende a Yaku Perez il diritto di andare al ballottaggio), e Xavier Hervas (16,9%) della sinistra democratica.
Al centro della contesa del Paese latinoamericano la scelta del modello economico di gestione delle risorse naturali e il rapporto con gli Stati Uniti d’America.
Foto AP
Una nota di approfondimento sullo scenario ecuadoriano
(a cura di Ignazio D’Onofrio)
Domenica 7 febbraio 2021 si sono tenute le elezioni presidenziali in Ecuador. Nonostante la pandemia, il 63% degli aventi diritto si è recato alle urne per scegliere uno dei 16 candidati in lizza. Ad aggiudicarsi il primo turno è stato, come previsto, il giovane economista Andrés Arauz, candidato per la coalizione di sinistra Unión por la Esperanza (UNES) e delfino dell’ex presidente Rafael Correa, con oltre il 31% dei voti validi.
Arauz ha staccato di almeno il 10% tutti gli altri candidati, ma non ha superato la soglia del 40% che gli avrebbe permesso di vincere al primo turno.
L’11 aprile si terrà dunque il decisivo ballottaggio tra il candidato correista e, probabilmente, Yaku Pèrez, avvocato ed esponente del partito Pachakutik, legato alla potente confederazione indigena Conaie, che ha ottenuto un risultato insperato (circa il 20%), superando il candidato della destra neoliberista Guillermo Lasso.
Le elezioni giungono al termine di una convulsa stagione politica, segnata dall’elezione alla presidenza dell’allora correista Lenìn Moreno nel 2017 e dal suo repentino passaggio allo schieramento avverso. Nel corso del suo mandato, Moreno ha infatti determinato l’uscita dell’Ecuador dall’ALBA, l’alleanza regionale promossa nel 2004 da Venezuela e Cuba, e ha riallacciato legami molto stretti con gli Stati Uniti d’America, ai minimi storici da quando, nel 2009, l’allora presidente Correa non rinnovò la concessione che permetteva agli USA di gestire l’importante base militare di Manta.
Il riavvicinamento tra il Paese andino e il gigante nordamericano è stato suggellato, nel 2019, dalla revoca dell’asilo politico concesso nel 2012 a Julian Assange, che ha reso possibile l’arresto dell’attivista australiano, nonché dalla sottoscrizione di un prestito di più di 10 miliardi di dollari con l’FMI e la Banca Mondiale.
Moreno ha, inoltre, salutato come un progresso nella lotta contro il malaffare sia l’arresto del vicepresidente Jorge Glas nell’ambito delle inchieste legate allo scandalo Oderbrecht, sia l’inabilitazione politica dello stesso Correa, condannato a sua volta per corruzione, legittimando dunque quei procedimenti penali che i correisti hanno invece denunciato come pratiche di lawfare, accomunandoli ai processi che hanno colpito Lula in Brasile e Cristina Kirchner in Argentina.
Se Arauz dovesse uscire vincitore dal ballottaggio, si assisterebbe quindi a una nuova svolta politica e al ritorno dell’Ecuador alla prospettiva del “Socialismo del XXI secolo”. Più difficile prevedere cosà accadrebbe nel caso di una vittoria di Pèrez: sebbene entrambi i candidati siano definiti di sinistra, infatti, le rispettive formazioni sono divise da un solco difficilmente colmabile.
Da una parte, il Pachakutik, dopo un iniziale appoggio a Correa, ha osteggiato i suoi governi in nome della lotta contro il modello estrattivista (l’Ecuador ha significative riserve petrolifere ed è membro dell’Opec), giungendo a sostenere la destra di Lasso nel ballottaggio del 2017.
Dall’altra, l’ex presidente ha accusato il partito di essere finanziato dal governo statunitense e di aver tenuto un atteggiamento ambiguo nel corso del tentato golpe del 2010. Lo stesso Lenìn Moreno ha beneficiato di questa contrapposizione e ha incassato l’appoggio del Pachakutik circa i referendum indetti e vinti dal governo del 2018, volti a smantellare alcune riforme politiche e sociali del correismo ma anche ad approvare diversi provvedimenti di tutela ambientale. Proprio i movimenti indigeni, comunque, con in testa la Conaie, sono stati protagonisti della rivolta popolare dell’autunno 2019, scatenata dalle misure di austerità adottate dal governo per implementare il programma finanziario concordato con l’FMI, che ha di fatto determinato la fine della parabola politica di Moreno.
Nel ballottaggio di aprile si affronteranno probabilmente, dunque, due schieramenti politici profondamente distanti. Non a caso, durante la campagna elettorale, Yaku Pèrez ha più volte rimarcato tali differenze, definendosi sostenitore di una sinistra “flessibile” e dicendosi non ostile alla sottoscrizione di un trattato commerciale con gli USA.
La partita è assolutamente aperta. Di certo c’è solo che, per vincere, sia Arauz che Pèrez dovranno rivolgersi agli elettori degli altri partiti, a cominciare da quelli di Lasso e da coloro che hanno votato per l’imprenditore del settore agroalimentare Xavier Hervas, candidato per il centrosinistra di Izquierda Democratica, che ha ottenuto un sorprendente 16,9%.
Alcune fonti di approfondimento
https://www.lanacion.com.ar/el-mundo/ecuador-yaku-perez-activista-indigena-busca-dar-nid2595463