Coronavirus: rifugiati Rohingya in Bangladesh

 

Forti pioggie. Strutture mediche e mancanze di competenze per effettuare i test per il coronavirus. Le persone che vivono all’interno dei campi rohingya in Bangladesh non sono adeguatamente informate in merito al Covid-19 e al rischio di contagio. A tutto ciò si aggiunge l’impossibilità di garantire il distanziamento sociale. I profughi vivono in alloggi sovraffollati con dieci o più persone in una stanza e sono costretti anche ad usare servizi igienici e impianti idrici comuni. Non possono rispettare le misure igieniche che rappresentano una prevenzione efficace contro la diffusione del virus.

Senza contare che la tragica pandemia in atto è soltanto una delle numerose emergenze che segnano la loro vita. «Le persone rohingya che vivono nei campi profughi in Bangladesh sono quattro volte vittime – sottolinea Biswas,  responsabile della comunicazione del programma per la comunità rohingya di Caritas Bangladesh con sede a Cox’s Bazar -. Sono vittime dello sradicamento violento e traumatico dalla loro terra natale, il Myanmar; vittime di emergenze sanitarie quali dissenteria e vaiolo; vittime delle ripetute emergenze climatiche che si verificano quando i cicloni colpiscono il Bangladesh. E ora sono anche vittime della pandemia globale che si sta abbattendo sul Paese».

 

Caritas Bangladesh sta distribuendo a migliaia di persone in tutto il Paese, e specialmente nei campi di Cox’s Bazar, materiale informativo sulla prevenzione e al tempo stesso kit per l’igiene personale. Sono state inoltre installate postazioni per il lavaggio delle mani in alcuni luoghi comuni e accanto ai servizi igienici.

 

«La comunità internazionale deve prestare attenzione alla difficile situazione della comunità rohingya – afferma Biswas – Queste persone devono avere il diritto a vivere con dignità».

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