Mps. Ruolo delle fondazioni e intrecci economico-politici

Una riflessione sulle cause che hanno portato alla crisi e l'importanza della partecipazione attiva dei risparmiatori
Mps

La vicenda che vede in queste settimane Mps al centro di un inquietante intreccio economico-politico e che abbiamo descritto in un precedente articolo, sollecita con urgenza alcune considerazioni. La prima riguarda il rapporto tra settore bancario e politica. Quando in Italia le banche vennero privatizzate, si decise di scorporare la funzione pubblica, che finì in capo alle cosiddette fondazioni bancarie, da quella privata che venne immessa sul mercato.

Il ruolo delle fondazioni come azionisti delle banche sarebbe dovuto essere transitorio; nel giro di qualche anno avrebbero dovuto progressivamente vendere le loro quote di partecipazione. A tutt’oggi, in molti e significativi casi, questo non è accaduto e le fondazioni, i cui consigli di amministrazioni, a loro volta, hanno il potere di nominare la dirigenza delle banche “conferitarie”, sono molto spesso condizionate da interessi politici.

È facile allora comprendere quali distorsioni tale assetto di governo può portare. Può, in un’ottica prettamente politica, essere conveniente, infatti, avallare operazioni che, da un punto di vista puramente economico non avrebbero ragion d’essere, avere un occhio di riguardo per le imprese “amiche”, finanziare attività politicamente “meritevoli”.

Una seconda considerazione riguarda l’endemica difficoltà di far nascere in Italia una classe dirigente veramente indipendente dal potere politico che appare sempre più patologicamente pervasivo. Le imprese, le grandi imprese sono indotte a cercare l’avvallo o la simpatia del partito di riferimento per poter sopravvivere, spesso barando sulle corrette regole della concorrenza, in un mercato drogato da interessi di parte, di casta, di lobby. Il problema dell’indipendenza e della separazione delle logiche, politiche ed economiche, è acuito dal fatto che quelle autorità preposte alla vigilanza sul corretto funzionamento del mercato, l’Antitrust e la Consob, pur dovendo essere per loro stessa natura indipendenti e super partes, finiscono legate a filo doppio con la politica, che ne nomina i massimi dirigenti e in questo modo ne influenza l’operato.

La terza considerazione riguarda la natura stessa delle imprese bancarie. Gli ultimi rapporti dell’Unione europea, tra cui il recente rapporto Liikanen, mettono tutti in luce il fatto che, soprattutto in tempi di crisi, la massimizzazione del profitto non è una strategia guida ottimale per le banche. Le banche che si danno altri obiettivi, le banche cooperative, quelle rurali, le banche etiche, tutte dimostrano di essere maggiormente in grado di raccogliere depositi e di gestire il rischio in maniera più efficace. Inoltre, evidenziano sempre i rapporti europei, la dimensione ottimale di una banca, per quanto riguarda il livello di beni posseduti si aggira intorno ai 20 miliardi. Ogni ulteriore spinta alla crescita è quindi dettata da una ricerca di potere e di influenza più che da ragioni di efficienza economica. In questo senso si può leggere il peccato di Mps come un problema di ambizione e ricerca del potere, più che dell’interesse degli azionisti e del territorio di riferimento.

Siamo convinti, tuttavia, che benché necessari, non basteranno la separazione tra funzioni commerciali e funzioni d’investimento, la reintroduzione del reato penale del falso in bilancio, l’incremento dei poteri e degli strumenti delle autorità di vigilanza, una nuova e maggiore autonomia dagli interessi politici, a riportare alla loro naturale vocazione le banche, se non se ne riscoprirà la radice profonda di imprese civili, a servizio cioè della “città”, della comunità; senza l’ossessione del profitto e più interesse per lo sviluppo del territorio nel suo complesso.

L’ultimo punto non riguarda né la politica né l’economia, o forse riguarda entrambi i temi e anche di più. Riguarda tutti noi, risparmiatori e correntisti che come clienti delle banche abbiamo la possibilità di esercitare la nostra sovranità. Possiamo scegliere di privilegiare, affidando loro i nostri risparmi, quelle istituzioni meno orientate al profitto e più attente al territorio, meno spregiudicate negli investimenti, che magari non finanziano il settore degli armamenti ma che si impegnano e dimostrano di essere socialmente responsabili. È una forma di civiltà ed è un diritto che il mercato ancora ci da.

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