È morto Dino Impagliazzo, lo chef dei poveri
Ci sono persone che lasciano un segno profondo e duraturo non solo nelle persone che hanno vicino, ma nell’intera comunità. Sono persone che, in qualche modo, fanno la Storia, con l’esempio, la tenacia, l’impegno costante e la fede incrollabile. Dino Impagliazzo era uno di questi. Dirigente pubblico in pensione, era chiamato lo chef dei poveri per i pentoloni di pasta che cucinava per i senza fissa dimora insieme ad altri volontari dell’associazione RomAmoR di cui era stato fondatore.
Dopo una lunga malattia, Dino Impagliazzo è morto oggi, Giornata mondiale dei nonni e degli anziani, alle 14.30. I funerali si terrano martedì 27 luglio alle 11 nella chiesa di Santa Maria in Trastevere, nella capitale. Potranno essere seguiti anche in diretta su YouTube.
Classe 1930, nato in Sardegna nell’arcipelago della Maddalena da una famiglia semplice, nella sua terra tornava d’estate, dove invitava gli amici e si dilettava a pescare. Sposato con Fernanda, lascia quattro figli: Marco, presidente della Comunità di Sant’Egidio, Giovanni, Paolo e Chiara, tutti impegnati nel sociale. La notizia della sua scomparsa ha fatto il giro del mondo – e non per modo di dire. Membro del Movimento dei Focolari, Dino era conosciuto e amato da tante persone che vivono nei diversi continenti: il suo impegno per i poveri e per chi si trovava in difficoltà, del resto, nel corso della sua vita non si era limitato all’Italia.
Di lui, la presidente dei Focolari, Margaret Karram, ha detto: «Una vita come quella di Dino Impagliazzo, così intensa e ricca di generosità, intelligenza, affabilità, lascia un grande vuoto e nello stesso tempo un pieno di amore che fa avvertire più che mai la presenza di Dio fra noi, nell’umanità. Dino ha seguito Gesù e resta per noi e per molti un grande esempio, un testimone coraggioso che ha abbracciato e vissuto con straordinaria coerenza l’Ideale dell’unità di Chiara Lubich come via per la realizzazione del testamento di Gesù, ‘che tutti siano uno’» (leggi tutto il messaggio).
Per la sua opera a favore degli altri, Impagliazzo aveva ricevuto i complimenti da papa Francesco, che aveva salutato, nel 2016, al Villaggio per la Terra, a Villa Borghese, a nome dei senza fissa dimora romani. Nel 2018 aveva ricevuto il Premio internazionale Cartagine 2.0 sezione solidarietà, mentre nel 2019 era stato indicato come “esempio civile” e nominato commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella «per la sua preziosa opera di distribuzione di pasti caldi e beni di prima necessità ai senzatetto» di Roma.
Un riconoscimento illustre per un impegno lungo quasi vent’anni. Tutto era cominciato quando un povero gli aveva chiesto un panino. Partendo da lui, Dino aveva cominciato ad aiutarne molti altri insieme alla moglie e ai figli. Poi aveva coinvolto i vicini, gli amici, fino a fondare l’associazione Quelli del quartiere, poi divenuta prima Associazione di solidarietà Appio latino Tuscolano e infine Romamor, un’organizzazione senza scopo di lucro che riunisce circa 300 volontari e garantisce pasti per oltre 250 persone al giorno, grazie a una rete di solidarietà che coinvolge commercianti (dai piccoli negozianti ai grandi supermercati, che donano i prodotti invenduti o prossimi alla scadenza) e organizzazioni come la Comunità di Sant’Egidio e il Banco alimentare del Lazio.
Allegro e burbero al contempo, socievole, accogliente e dotato di una volontà di ferro, Dino era sempre preoccupato per i poveri, per i quali cercava aiuti e progetti di assistenza continuativi. Aveva operato a favore dei carcerati, di quanti vivevano nelle baracche, degli sfollati e dei terremotati. Chi erano i poveri per lui, lo aveva spiegato lui stesso in un’intervista di due anni fa. «I poveri per me sono Gesù quando dice: “Qualsiasi cosa avete fatto a questi piccoli l’avete fatta a me”, o “avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo freddo e sete…. Quando hai fatto questo e quest’altro per qualcuno lo hai fatto a me…”. Questo è il mio credo. Credo nell’unità dell’umanità. Siamo tutti esseri viventi del genere umano, siamo tutti allo stesso livello, perché siamo tutti figli dello stesso Padre. Siamo fatti della stessa sostanza. Se una parte del mio corpo è in difficoltà, mi fa male, che faccio? Me la taglio? No – spiegava Dino – cerco di aiutarla, di guarirla, e così avviene anche per quanto riguarda il rapporto con i poveri e con la gente in genere. Questi sono i principi che mi reggono».
Dino desiderava che si diffondesse sempre più «l’amore per il prossimo e soprattutto per il prossimo che è in difficoltà, a iniziare da quelli che mi stanno attorno, dai miei conoscenti ai condomini del mio palazzo al quartiere, in modo che Roma diventi una città dell’accoglienza, in cui le persone si amano, si vogliono bene. Perciò l’associazione l’abbiamo chiamata RomAmoR, per il desiderio profondo di contribuire a far sì che Roma diventi la città dove regna l’amore».
L’amore per i poveri è, in fondo, l’eredità che Dino Impagliazzo lascia a quanti lo stimavano e gli volevano bene. Chi adesso piange la sua scomparsa sa come fare per non farlo morire mai davvero. Si può continuare la sua opera seguendo il suo esempio. Possiamo cominciare dal povero più vicino, quello che ci aspetta sotto casa.