Morti sul lavoro a Firenze, un sistema da cambiare
Nell’incidente mortale sul lavoro che è accaduto il 16 febbraio a Firenze Rifredi si contano 4 lavoratori deceduti e uno che risulta disperso. Nelle parole degli abitanti dei quartieri si parla dell’accaduto come del boato di una bomba per il cedimento della struttura in cemento armato in costruzione nel mega cantiere del nuovo centro commerciale della catena di supermercati Esselunga.
La magistratura indagherà sulla dinamica del disastro mentre la ministra del Lavoro, Calderone, ha annunciato, come avviene sempre in questi casi, l’incremento delle ispezioni sui luoghi di lavoro.
Il caso in questione consente tuttavia di mettere in evidenza alcuni punti emblematici della situazione attuale del lavoro in Italia.
Prima di tutto, l’espansione e la forza della grande distribuzione organizzata che rappresenta uno dei settori di forte competizione per la capacità di spesa ancora significativa di una popolazione italiana prevalentemente anziana ma che appartiene alla generazione del lavoro stabile e quindi delle pensioni significative. Un effetto della cosiddetta silver economy.
La distribuzione moderna delle merci, tramite il sistema delle centrali d’acquisto, decide il prezzo finale dei prodotti che arrivano sul banco della vendita. È uno dei fattori di crisi del mondo agricolo che protesta in questi giorni per la svendita dei beni alimentari al momento dell’acquisto sui campi e la crescita del prezzo finale per i consumatori.
Esiste un costo nascosto dei beni che ricade sui lavoratori della filiera, dalla produzione agricola alla logistica fino ai cassieri e banconisti, per arrivare a spuntare il prezzo più attraente di una rete commerciale dove crescono i discount ma è ancora molto forte il peso dei marchi storici come appunto Esselunga che è stato il primo ad aprire un moderno supermercato in Italia.
Il suo fondatore, Bernardo Caprotti, è stato in lotta tutta una vita per vincere la concorrenza con la Coop, lamentandosi di non aver potuto, per tanto tempo, aprire i suoi negozi nella Toscana “rossa” e in particolare a Firenze. Ne ha scritto in un libro che ha avuto un certo successo (Falce e carrello). La concorrenza è molto affollata con la presenza di soggetti esteri, tipo Carrefour, e consorzi di dettaglianti come la Conad. Giganti che ormai producono serie di prodotti con il loro marchio.
La costruzione di megastore ha effetti di desertificazione del commercio locale e richiede forti investimenti che vanno ripagati in tempi certi per soddisfare gli azionisti, tanto da estendere i tempi di acquisto non solo nelle fasce orarie ma anche nei giorni festivi. È una macchina in corsa che rischia di deragliare e fallire se non si colgono le aspettative e gli umori di una clientela sotto costante monitoraggio e studi di settore che individuano geograficamente i luoghi di apertura delle grandi strutture commerciali privilegiano le aree semiperiferiche delle città o la costruzione di veri e propri centri autosufficienti. In questo caso hanno scelto la vasta area di un ex panificio militare nella zona nord di Firenze che comitati di cittadini del luogo avevano proposto di destinare ad uso sociale e culturale.
Ha, invece, prevalso l’attrattiva immobiliare della costruzione di un superstore che avviene tramite un sistema di appalto a grandi società di costruzione che si avvalgono, poi, di altre società grandi e piccole in subappalto.
È un metodo che permette di abbattere i costi a cascata dal committente principale (Esselunga, la società di costruzioni, ecc.) ma rende più difficile esercitare la vigilanza sulla sicurezza tra una selva di lavoratori di imprese che, spesso, hanno differenti contratti collettivi di riferimento.
Dalle prime ricostruzioni sembra che i 5 lavoratori vittime dell’infortunio e gli altri feriti dipendano da società subappaltanti (per due di loro si parla addirittura di lavoro irregolare extra contratto).
Il sistema del subappalto è stato più volte indicato come fattore di insicurezza da parte del magistrato Bruno Giordano che, purtroppo, è stato solo poco tempo alla direzione dell’Ispettorato nazionale del Lavoro fino a dicembre 2022, nel periodo in cui sono stati assunti 2 mila nuovi ispettori in una struttura che è stata a lungo sotto organico e senza risorse per operare efficacemente.
Il subappalto comporta, tra l’altro, che per alcuni lavori nei grandi cantieri non si osservino le regole del contratto collettivo dell’edilizia che è molto esigente e rigoroso per la casistica frutto di lunga trattativa tra le parti.
L’ennesimo gravissimo infortunio sul lavoro dovrebbe essere uno stimolo ad attuare una specifica Procura nazionale per la sicurezza sul lavoro proposta ormai da gran tempo dal magistrato Raffaele Guariniello per valorizzare esperienze e conoscenze specialistiche delle diverse procure. Sembrava che si arrivasse ad un punto di svolta nel 2012 dopo il rogo dell’acciaieria della Thyssen di Torino, ma tutto si è poi arenato per mancanza di volontà politica.
Di fatto sembra aver maggior peso, come ha scritto Gianni Alioti su Città Nuova, un certo tipo di analisi comportamentale sulla sicurezza sul lavoro, la cosiddetta Behavior Analysis, veicolata dai più influenti uffici di consulenza aziendale, secondo cui «la causa principale degli infortuni sul lavoro sarebbe riconducibile ai comportamenti individuali delle persone».
Le morti sul lavoro sono state 1041 nel 2023 secondo l’Inail (1.466 secondo l’Osservatorio nazionale di Bologna). Arriviamo, finora, a 145 nel 2024, ma il contatore è sempre in funzione.
Perché? Secondo Alioti «nonostante le norme esistano da tempo (l’articolo 2087 è del 1942) e siano state migliorate con il recepimento delle direttive europee, stiamo assistendo negli ultimi anni a un regresso preoccupante sia degli infortuni mortali e invalidanti sul lavoro, sia delle malattie professionali. Dietro ogni numero ci sono persone, le loro storie, famiglie e amici. Ferite aperte che difficilmente potranno rimarginarsi e che, in molti casi, non trovano neppure un equo risarcimento».