Morti e feriti per proteste in Madagascar
Domenica mattina tutto era calmo ad Antananarivo, la capitale del Madagascar. Il centro della città è stato d’improvviso occupato dalla polizia, per impedire una manifestazione programmata per rendere omaggio alle vittime della manifestazione del sabato precedente. «Secondo le cifre ufficiali, ci sono un morto e 17 feriti», ha detto in televisione il primo ministro, Olivier Mahafaly Solonandrasana, che ha presentato «a nome delle autorità le condoglianze alle famiglie delle vittime che debbono affrontare una triste situazione». L’opposizione imvece parla di quattro morti.
Alla fine della giornata, il presidente, Hery Rajaonarimampianina, si è rivolto alla nazione: «Quello che è successo sabato corrisponde semplicemente a un colpo di Stato. Il Madagascar è uno Stato di diritto. Perciò mando un avvertimento ai provocatori, il cui unico scopo è quello di spargere sangue». E ha aggiunto: «Invito la polizia ad assumersi le proprie responsabilità per difendere questo stato di legge e democrazia e quindi a fare il proprio dovere per proteggere i civili e le loro proprietà».
L’elemento che ha dato fuoco alle polveri è stato il controverso voto della nuova legge elettorale all’Assemblea nazionale. L’opposizione si oppone vigorosamente all’adozione di una tale norma, denunciando, tra l’altro, l’irrigidimento delle procedure di revisione degli elenchi, considerate troppo pesanti e troppo costose. Inoltre il periodo della campagna è stato ridotto a sette soli giorni con la nuova legge: i membri dell’opposizione credono ovviamente che sia impossibile fare propaganda elettorale in così poco tempo.
Eletto nel 2013, Hery Rajaonarimampianina non ha ancora annunciato se correrà per un secondo mandato. Tuttavia, due ex capi di Stato hanno già lasciato intendere che avrebbero il desiderio di presentarsi: Marc Ravalomanana, presidente tra il 2002 e il 2009, e Andry Rajoelina (2014-2009). Entrambi erano stati banditi dalle liste dei candidati nel 2013. Ravalomanana era stato estromesso già nel 2009, dopo un ammutinamento dell’esercito che aveva permesso a Rajoelina, allora sindaco di Antananarivo, di diventare presidente (non eletto) fino al 2014.