Morrissey: un capolavoro d’estate
L’istrionico mister Moz è da trent’anni una delle presenze più anomale del baluginante universo del pop-rock planetario. A suo modo un alieno, epperò sempre chiacchieratissimo, tanto più oggi, con questo nuovo disco salutato da gran parte della critica come uno dei pochi imperdibili di questa stagione.
Che il Nostro – originario di Manchester, ma con sangue irlandese nelle vene – fosse abituato a spiazzare, era cosa assodata da tempo; eppure erano davvero in pochi, anche tra i fans più devoti, ad attendersi un ritorno di questa caratura.
Già il titolo la dice lunga: World peace is none of your business, come dire “la pace nel mondo non è affar tuo”. Nei dodici frammenti che lo compongono troverete il sarcasmo graffiante della sua ars affabulatoria, l’autoironia e il vetriolo dei suoi j'accuse, la liricità enfatica ed ariosa di qualche ballad e la ruvidità del rock più scontroso. Ed è proprio in questo gran pinzimonio di suggestioni (sonore e letterarie) che l’album trova la sua forza.
Nella dozzina di nuove canzoni in effetti c’è – e canta – di tutto: violenze famigliari e diritti degli animali, degradi ambientali e sentimentali, derive politiche e dolori globalizzati, amore e psiche. Morrissey è sempre stato un autore colto e molto letterario nell’approccio, e lo è diventato ancor più in questi ultimi anni, nei quali la stagionatura del cinquantenne avanzato l’ha quasi costretto a fare i conti col proprio passato da rockstar, ma anche con quella propensione all’autoanalisi che spesso impone l’imminenza della vecchiaia. Anche per questo ha pubblicato un’autobiografia che dopo il clamoroso successo in patriasarà tradotta e pubblicata anche in Italia da Mondadori.
Ma torniamo a questo sontuoso affresco sonoro. Realizzato nella quiete della Provenza sotto la guida di Joe Chiccarelli (affermato producer già al servizio di U2, Beck e White Stripes), il decimo capitolo del Morrissey solista ammalia fin dal primo ascolto, ma non ha nulla da spartire con l’evanescenza e il piacionismo che intasa i supermercati della musica in questa stagione. Al contrario è uno di quei dischi perfetti per far da sfondo – e da pungolo – alle oscurità e alle malinconie dell’estate meno estiva (in tutti i sensi) di questi ultimi anni. Allo stesso modo queste canzoni sono qualcosa di più e di diverso da uno sfogo generazionale; nell’ultimo brano dell’album canta: “La vecchia generazione c’ha provato, ha sospirato ed è morta, spingendomi al suo posto in coda”: un’amara considerazione che immagino possano condividere anche molti giovani che ai tempi degli Smiths non erano neppure nati.