Morire per la propria gente
Una domenica tragica, quella del 9 gennaio scorso, con 4 uccisioni in due paesi latinoamericani diversi, eppure per gli stessi motivi: l’impegno in difesa della terra, dei diritti umani e del loro habitat. In America latina, infatti, si vive e si muore per difendere la terra e i diritti dei popoli.
In Brasile, nello Stato di Parà (nel Nord-Est), un’intera famiglia è stata brutalmente uccisa a colpi di arma da fuoco. José Gomes, sua moglie Màrcia Nunes Lisboa e la figlia adolescente Joane Nunes Lisboa erano molto noti tra gli attivisti locali e internazionali. Si occupavano della salvaguardia delle tartarughe marine e del loro habitat naturale. (www.fanpage.it)
Gli attivisti ambientali locali puntano il dito sulle bande armate che difendono i traffici illegali di legname o sono al servizio dei proprietari terrieri. Nel 2020, il Brasile è risultato al quarto posto per numero di attivisti ambientali uccisi, secondo l’ong Global Testness.
In Honduras, prima che finisca la domenica, è stato ucciso Pablo Isabel Hernández, leader indigeno del popolo Lenca, difensore e promotore dei diritti della sua gente, ambientalista, difensore dei Diritti Umani, comunicatore e agente pastorale. Uomini col volto coperto gli hanno sparato alla schiena, uccidendolo. Attraverso la radio comunitaria “Voces contra el olvido”, della Commissione dei Parenti dei Detenuti e degli Scomparsi in Honduras (COFADEH), Hernández criticava spesso l’agire illegale dell’amministrazione locale di San Marcos de Caiquín, denunciando anche di aver ricevuto diverse minacce di morte. Nel 2021, in Honduras, almeno 208 difensori dei diritti umani e 93 giornalisti hanno ricevuto attacchi violenti. 10 di loro sono rimasti uccisi. L’omicidio di Hernández è il primo del 2022. (www.argentina.forestal.com)
La lista degli ambientalisti uccisi in America latina, e non solo, purtroppo potrebbe continuare a lungo.
Si dovrebbe concludere che, la loro, è una battaglia persa? Che gli interessi egoistici in gioco sono di gran lunga superiori alla giusta e necessaria salvaguardia dell’ambiente e dei diritti umani, per il bene della casa comune e dei popoli tutti?
Si dovrebbe parlare di questi eroi sconosciuti non solo quando vengono uccisi, ma quando sono nel pieno del loro impegno quotidiano. Sono loro, un po’ dappertutto, che fanno la differenza e che permettono che rimanga ancora in piedi l’equilibrio del nostro pianeta. È un esercito silenzioso che lavora ogni giorno, ogni ora, a rischio – come si costata – della propria vita.
A nome di questa schiera di attivisti che si prendono cura della gente e del pianeta, vorrei evidenziare l’impegno assunto da due amici che ammiro molto: Jenny e Javier, marito e moglie, e le loro tre figlie.
La loro storia si fa ben presto a raccontarla. È frutto di una scelta radicale. Infatti, hanno deciso di lasciare le comodità della grande città per trasferirsi nel cuore dell’Amazzonia peruviana. In principio, per occuparsi dei genitori anziani di Jenny ma, in breve, si sono assunti la cura di tutti gli anziani soli di Làmud, il paese di origine di lei.
È stato mentre giravano per la periferia del paese, che hanno trovato tanti anziani in situazione di abbandono. E non si sono dati pace finché non sono riusciti a prendere in affitto una vecchia casa, ristrutturarla e adibirla a un casa di accoglienza dove, per ora, riescono a offrire il pranzo a una quarantina di anziani e ad accoglierne tre in modo permanente.
Per Jenny e Javier non basta sfamarli e riuscire ad accoglierli tutti, ma vogliono anche recuperare il loro habitat, promuovere le loro potenzialità e salvare la memoria culturale locale di cui gli anziani sono proprio i grandi depositari. Non vogliono parlare di “centro”, ma di “casa”, sulla scia dell’eredità di Chiara Lubich (a cui la “casa” è intitolata) che invitava tutti ad essere: “Sempre famiglia”.
Loro stanno a dimostrare che sì, in America latina si continua a morire per difendere la terra e i diritti umani, ma si continua anche a vivere per curare il Creato e le persone più emarginate e abbandonate.