Moresco d’Ottocento fiorentino
Firenze non è solo Rinascimento. Vi sono angoli di questa città unica al mondo che riservano le sorprese d’un’arte ispirata ad altri secoli e ad altre culture: è il caso della Sinagoga di via Farini inaugurata nel 1882, qualche anno dopo l’Emancipazione degli ebrei italiani, in un quartiere di nuova costruzione dopo il trasferimento della capitale da Torino a Firenze.
Considerata uno degli edifici più belli e armoniosi dell’Ottocento italiano e tra gli esempi più significativi in Europa dello stile esotico moresco con elementi arabi e bizantini, è testimonianza significativa di una comunità il cui primo nucleo fiorentino risale all’inizio del XV secolo. Anche chi non fa in tempo a visitarla (ed è un vero peccato!) dall’alto di piazzale Michelangelo non può ignorare la sua cupola verde rivestita di lastre di rame, che ricorda le coperture maiolicate delle moschee, a tal punto essa fa parte del panorama cittadino, quasi in concorrenza con la cupola brunelleschiana di Santa Maria del Fiore.
Recenti restauri hanno restituito allo splendore originario questo tempio, miracolosamente sopravvissuto alle mine dei nazisti in fuga da Firenze, all’alluvione del 1966, alle ferite inferte dal tempo e dalla negligenza umana. Architetti dell’imponente costruzione, che doveva essere degna di una città come Firenze, furono Mariano Falcini, Vincenzo Micheli e – l’unico di origine ebraica – Marco Treves. Pur memori degli insegnamenti del passato, essi sperimentarono soluzioni costruttive all’avanguardia per l’epoca: infatti, per la prima volta a Firenze, fu usata una tecnica che preludeva al cemento armato, molti dei soffitti furono sostenuti da longarine di ferro e le grondaie furono inserite entro il corpo murario per rimanere invisibili all’esterno. In origine funzionavano anche un ascensore ad acqua e il riscaldamento dal pavimento mediante getti d’aria calda.
L’entrata è preceduta da un armonioso giardino, progettato inizialmente in stile orientaleggiante con palme e piante grasse, giardino ancora chiuso dalla splendida cancellata in ghisa originaria. All’interno e lungo il muro di cinta sono visibili lapidi commemorative con i nomi degli ebrei deportati da Firenze, morti nei campi di concentramento o uccisi nelle rappresaglie naziste.
La maestosa e pur leggera facciata del Tempio, tra due torri simili a campanili, è rivestita di lastre di travertino bianco e di pietra calcarea rosa. Se l’esterno richiama inequivocabilmente l’arte moresca, l’aula di culto a pianta quadrata con due navate laterali e abside sul fondo ricorda invece una basilica cristiana. Rispecchia, infatti, il clima sociale e religioso seguito all’emancipazione e alla demolizione del ghetto, che vide la comunità ebraica assimilare nuovi modelli di vita con la conseguente perdita di attaccamento alla tradizione e all’osservanza dei precetti.
Comunque sia, l’interno si rivela magnifico e di forte suggestione per la luce naturale che filtra dalle vetrate policrome e dalla cupola, e per quella delle lampade. Luce che si concentra nell’area del presbiterio ricoperta di mosaico veneziano, dove lo sguardo è attratto dalla Tevah, ossia la tribuna da cui l’officiante recita le preghiere, e dall’Aròn ha-Kodesh, l’armadio al cui interno sono custoditi i rotoli della Legge. Da questi, che sono i due elementi principali della Sinagoga, lo sguardo scivola sulle pareti dipinte ad arabeschi lumeggiati d’oro e a motivi geometrici; per poi levarsi a contemplare la grande cupola divisa in spicchi, che domina l’incrocio dei bracci dell’aula. Colpisce il forte disegno unitario che lega architettura, rivestimento decorativo e arredi: merito dei tre architetti, sotto la cui direzione lavorò un vero stuolo di artisti e di artigiani, il meglio che offriva l’epoca.
Ricchissimo il Museo: fondato nel 1981 e allestito su due piani dell’edificio, con i suoi oggetti e arredi di culto sinagogale e devozione domestica e privata, documenta i momenti salienti della vita di un ebreo, le festività e il rapporto con la città nel corso dei secoli.