Mordere la vita
Gli piaceva vivere ad Antonio Meneghetti, un artista scomparso tre anni fa. Poliedrico, si serviva di tutto per esprimere la sua fame di esistenza. Una rassegna a Roma, al Vittoriano, sino al 26 giugno, ne celebra l’ansia divoratrice. Scultore in ferro massiccio policromo, pittore dai tocchi alla Pollock o vagamente surrealisti, visionario che alterna l’astrazione alla macchia, comunque non figurativo, Meneghetti vive in un universo fatto di segni, simboli, sprazzi che esprimono un insaziabile desiderio di dire, di affermarsi, e soprattutto la gioia di essere al mondo.
Un uomo così dotato, così vorace di esperienze, pare trovare il meglio di sé, esprimere il colore, si direbbe, della sua anima nelle sculture in vetro di Murano. Qui nella luce calda e trasparente del vetro, nelle cose piccole e non gigantesche, Meneghetti fa brillare qualcosa di più vero. Sono curve di colori densi, blu e rossi forti, una linea mossa dove si intrecciano movimenti che poi si congiugono: paiono viaggi della mente e del cuore, concentrati nella piccola materia dentro lo spazio. Più che nelle grandi tele alla Rothko è nel minimo che si percepisce una sorta di ansia spirituale, la parola che trascende la materia o almeno lo vorrebbe.
Perciò di questa intensa rassegna – con vestiti, sculture, vetri, tele – piace ricordare il respiro ampio riversato nel minimale di un vetro, lo smalto azzurro o solo bianco di un quadro, la sua Venezia trasfigurata in linee come pensieri vaganti sulla tela. Una scoperta, l’occasione per conoscere la sensibilità di un artista sempre denso di emozioni.