Moon, la speranza della Corea del Sud

Dopo la traumatica fine della precedente presidenza, eletto un uomo aperto al dialogo
AP Photo/Lee Jin-man

Moon Jae-in è stato eletto presidente. Cattolico, figlio di fuggiaschi dal regime comunista della Corea del Nord, rappresentante del Partito democratico, ha staccato Ahn Cheol-soo, leader centrista del People’s Party, e Hong Joon-pyo, del Liberty Korea Party, nato dalle ceneri dell’ex partito conservatore Saenuri di Park.

Il suo è un programma semplice e chiaro: «Realizzare le riforme e cercare l’unità nazionale: cioè cò che il popolo desidera», ha detto appena eletto. Così i liberal-democratici tornano alla Casa blu, il palazzo presidenziale di Seul, dopo un decennio. Sui rapporti con la Corea del Nord vuole tornare alla collaborazione, alla diplomazia e alla cooperazione in campo economico. La sua politica estera certamente favorirà un riequilibrio delle relazioni con Stati Uniti e Cina, a favore di quest’ultima. La conservatrice Park Geun-hey, che si era dovuta dimettere, aveva invece privilegiato Washington.

All’indomani delle elezioni è azzardato parlare di una possibile visita di Moon a Pyongyang, ma l’entusiasmo per la sua elezione, raggiunta con più del 40 per cento dei suffragi, cifra altissima per la Corea del Sud, fanno pensare che una nuova stagione sta cominciando.

L’equilibrio tra Xi Jinping e Trump nell’Estremo Oriente passa forse per Moon Jae-in.

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