Monza, un test per il futuro del Pd

Si vota il 22 e 23 ottobre per la conquista del seggio di senatore che fu di Berlusconi. Elezione che appare sicura per il centrodestra mentre fa discutere la scelta del candidato radicale Marco Cappato da parte della segreteria nazionale del Pd contro il parere della base locale. È in gioco l’identità dem
Pd Elly Schlein Foto Guido Calamosca/LaPresse

La scomparsa di Silvio Berlusconi rimette in gioco teoricamente il seggio da senatore conquistato facilmente in Brianza, ricca e operosa area lombarda dove il leader di Forza Italia era ben radicato nei consensi.

La conquista della serie A con la squadra del Monza, acquistata dalla Fininvest dopo la cessione del Milan a capitali stranieri, ha accentuato il suo consenso che ora può essere travasato senza soluzione di continuità ad Adriano Galliani, suo stretto collaboratore che è ad un passo dall’entrare a Palazzo Madama dopo il voto delle suppletive previste nelle giornate del 22 e 23 ottobre.

Le candidature vanno definite però in queste ore e, pur parlando di un seggio considerato blindato per il centrodestra, e quindi gestibile con una nobile candidatura di servizio, il Pd è coinvolto in un conflitto interno che permane all’interno del maggior partito d’opposizione dopo la conquista della segreteria nazionale da parte di Elly Schlein con il voto delle primarie aperte.

In questa fase complicata per i dem,  emerge la capacità di Carlo Calenda, il leader di Azione ormai separatosi da Matteo Renzi, di agire in velocità come già fatto alle regionali del Lazio dove aveva indicato come suo candidato l’ex assessore pd Alessio D’Amato, inducendo la progressiva adesione di tutto il centro sinistra che  è stato battuto alle urne da Francesco Rocca, ex presidente della Croce Rossa, vicino a Fratelli d’Italia.

D’Amato è transitato poi in Azione così come è avvenuto recentemente in blocco per 30 dirigenti del Pd in Liguria.

Nel caso di Monza, Calenda si è mosso con anticipo indicando la scelta a favore di Marco Cappato,  dirigente dei radicali italiani noto per le sue campagne a favore della legalizzazione dell’eutanasia e del suicidio assistito che ricevono un forte sostegno sui media.

Gli eredi politici di Pannella sono divisi tra Partito radicale transnazionale e radicali italiani, un dettaglio che pochi colgono, ma la loro influenza si esercita efficacemente, a prescindere dai numeri del consenso reale, in maniera particolare sul piano dei contenuti culturali mentre gli esponenti politici sono sparsi in diversi partiti. I radicali, tuttavia, hanno anche dato vita ad un partito guidato da Emma Bonino e ora da Riccardo Magi che esprime un suo simbolo distinto (+Europa), improntato ad una certa idea europeista di impronta liberal liberista e molto atlantista (tra i più decisi in tal senso davanti alla guerra in corso in Ucraina).

Di fatto erano, nell’occasione delle elezioni politiche del 2022, i garanti del patto di Azione con il Pd, sfumato in pochi giorni dopo l’accordo concluso dal segretario dem Letta con Verdi e Sinistra.

Alla fine +Europa è rimasta con il Pd non raggiungendo però il 3% dei consensi per la rappresentanza proporzionale.

La giovane segretaria nazionale del Pd, Elly Schlein esprime una linea politica molto simile a quella dei radical dem presenti negli Usa, nazione di cui è cittadina, che coniugano attenzione ai temi ambientali e sociali con le istanze di cui i radicali italiani sono la punta più avanzata: dal suicidio assistito alle tematiche lgbtq+ e bioetiche.

Progressivamente tale impostazione è stata fatta propria da gran parte della sinistra e dal Pd dando ragione, sembra, all’analisi del filosofo Augusto Del Noce che prefigurava per il Pci un futuro da “Partito radicale di massa”. Ma il Pd proviene dall’esperienza dell’Ulivo e dall’idea di esprimere complessivamente più tradizioni politiche, dall’ex Dc di sinistra ai comunisti segnati dal crollo del Muro fino alle componenti socialiste, liberali, repubblicane e riformiste di diversa estrazione.

Il quadro si è fatto ancora più complicato con la torsione realistica di molti ex dirigenti comunisti verso una declinazione della questione sociale che porta a giudicare come estremiste e minoritarie in questo campo le tesi della Schlein.

Tutta la complessità sollevata dalle tematiche etiche non può essere poi liquidata come una questione dei cattolici, perché è in gioco una visione complessiva dell’esistenza umana e della sua dignità. Ne è stata un esempio in questo senso la riflessione del filosofo Mario Tronti, parlamentare dem, scomparso da pochi giorni, punto di riferimento dell’operaismo in Italia.

La nuova direzione non sembra cogliere l’importanza di questi terreni di frontiera, come si è potuto vedere, ad esempio, alla festa dell’Unità di Roma dove nel tavolo dedicato alle famiglie sono stati invitati solo esponenti e associazioni in linea con il decreto Zan.

La segreteria Schlein finisce così per generare malcontento in aree diverse su temi distinti. È comprensibile che voglia imporre una svolta al partito dall’indirizzo dato non solo nel periodo di Renzi ma risalente al discorso di Veltroni al Lingotto di Torino. Secondo questa logica, una politica economica vicina alla Cgil di Landini potrebbe attirare consensi di tanti astensionisti così come si presume che possa avvenire puntando sul rilancio del Servizio sanitario pubblico. Sul fronte delle migrazioni è difficile attirare il voto popolare ma si tratta di recuperare un’identità nettamente diversa dalla destra.

È più difficile capire, invece, la scelta compiuta dalla Schlein di optare a favore della candidatura unitaria di Cappato a Monza, nonostante la contrarietà della dirigenza locale del partito che ha spinto fino all’ultimo per una candidatura autorevole di persone legate al territorio.

È prevedibile, in questo senso, il disagio espresso da esponenti dem come Stefano Lepri e di tutta la componente de “I popolari” che prima delle elezioni politiche promosse un incontro pubblico problematico con l’allora segretario Enrico Letta arrivando a far ipotizzare, in qualche osservatore, delle ipotesi di scissione.

Di sicuro quello che avviene a Monza è un vantaggio ulteriore per la coalizione di centro destra. La candidatura Cappato rischia di allargare le divisioni nel Pd su questioni e temi che meriterebbero di essere affrontati apertamente per chiarezza degli elettori che, altrimenti, trovano altri motivi per disertare le urne se tutto avviene calato dall’alto per scelte strategiche di coalizione che, tra l’altro, in questo caso non servono neanche per vincere.

In generale, poi, si tratta di capire perché si vuole vincere le elezioni. Per quale progetto? Con quali priorità effettive? Per quale idea di società, persona e visione del mondo? Concetti di base che non sono un residuo del Novecento.

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