Montagne assassine?

La superficialità con cui tanti escursionisti improvvisati affrontano le scalate. La certezza che il Soccorso Alpino non abbandona nessuno. I corsi di formazione, le storie belle e la cultura del limite

Ancora vite spezzate. Altri lutti, altre sofferenze. Il bollettino degli incidenti in montagna continua a registrare nomi e cognomi che non avranno più un futuro. E la tentazione, forte, è di assegnare la responsabilità alla montagna. Molto facile, ma soprattutto falso.

La realtà è un’altra. Lo dicono con forza, e da tempo, coloro che dedicano la loro vita, per passione e per professione, alla montagna. Lo ricordano con decisione coloro che quando scatta la chiamata partono immediatamente, mettendo a rischio la propria esistenza pur di soccorrere chi si trova in difficoltà. Le radici di tanti incidenti vanno ricercate nel diverso approccio con cui oggi un numero sempre crescente di persone (giovani e meno giovani) affrontano le gite su e giù per monti. Sia in estate, sia in inverno.

Finita l’epoca in cui si tramandava di generazione in generazione l’arte dell’alpinismo, il rispetto dovuto con cui è necessario affrontare le vette, il discernimento quando la situazione diventa pericolosa. Oggi con troppa leggerezza si affrontano le escursioni: dall’abbigliamento inadeguato alla scarsa conoscenza del territorio. E così i soccorritori si trovano troppo spesso davanti giovani alpinisti sul ghiacciaio in scarpe da tennis e maglietta. O turisti che hanno perso il sentiero e non sanno più tornare alla base.

In tutti, però, c’è la certezza che non verranno abbandonati, che in caso di necessità un aiuto arriva. Il Soccorso Alpino e Speleologico ha mostrato – ancora in occasione del terremoto nel centro-Italia e nella tragedia di Rigopiano – di essere una delle più solide, più specializzate e più organizzate associazioni di volontariato, presente su Alpi e Appennino con stazioni e uomini di altissimo profilo e grande formazione.

È stato proprio il Soccorso Alpino, emanazione del Cai, ad avviare corsi di formazione nelle scuole, giornate per essere “Sicuri sulla neve” e “Sicuri in montagna”, 365 giorni l’anno. Educare, formare ad un approccio serio alla montagna è una ricchezza per tutti. Ma è anche fondamentale far passare il messaggio che tantissimi, la maggior parte, degli appassionati della montagna sono persone responsabili. Il rischio, certo, dopo alcuni tragici incidenti è quello di lasciarsi prendere dall’emotività.

La montagna è uno spazio di libertà e non di coercizione, la cui frequentazione, però, certo comporta un elevato senso di responsabilità e necessita di conoscenza e competenza. Formazione prima di tutto. E un’altra esigenza, evidenziano dal Cai e anche dal Soccorso Alpino: non parlare solo di montagna, attraverso i media, quando avviene una tragedia. Di montagna si deve parlare sempre raccontando la vita di chi la vive e di chi la frequenta per scopi ludici e sportivi. Storie e avventure affascinanti. Storie belle, positive, anche di ritorno e di rivitalizzazione del territorio.

Da ultimo, una nota per chi vuole scoprire le terre alte, da scalatore, arrampicatore, con sci, ciaspole, tavola, a piedi. Le sezioni e le attività del Cai sono ottime per imparare. L’auspicio è che si diffonda una cultura più attenta alla formazione e alla promozione della sicurezza in montagna.

E poi va conosciuto e tenuto presente quanto afferma Annibale Salsa, antropologo e past president del Cai: «La cultura del limite, accolta dagli alpinisti, significa conoscere proprietà e limiti, per esempio, dell’attrezzatura per la scalata. Sia per i popoli di montagna, sia per gli alpinisti d’oggi, la conoscenza di ciò che si può e non si può fare è alla base della sicurezza, del non mettere a repentaglio la propria vita. Ma per imparare questa cultura, per sapere fino a dove ci si può spingere, bisogna conoscere il territorio. Solo così si può conoscere meglio anche se stessi, le proprie potenzialità ed i propri limiti».

 

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