Montagna, si registra il boom di turisti
Lo si era detto già la scorsa primavera: se nel corso dell’estate sarebbe stato possibile spostarsi e fare ferie, le montagne sarebbero state una delle mete più gettonate. Più facile, si diceva, osservare il distanziamento fisico sfruttando i grandi spazi aperti; alloggiando in appartamenti privati o piccoli affittacamere, che costituiscono la maggioranza delle strutture ricettive; oltre al fatto che i flussi turistici verso le terre alte sono, almeno nel nostro Paese, sempre stati numericamente inferiori rispetto a quelli verso le spiagge e le città d’arte.
Dopo un mese di giugno piuttosto deserto e un mese di luglio che ha registrato il pieno soltanto in alcune località, tuttavia, ad agosto le cose sembrano essere un pò sfuggite di mano: in particolar modo sulle Dolomiti, dove si sono registrate situazioni di vero e proprio sovraffollamento.
Hanno fatto il giro del web le foto dei turisti letteralmente in coda per visitare le cascate di Riva di Tures, per salire sul Monte Paterno lungo la via ferrata, o lungo il sentiero per raggiungere le acque cristalline del lago Sorapis. Il gestore del rifugio Vandelli peraltro, sulle rive del lago in questione, è arrivato ad invocare l’intervento dell’esercito per far rispettare non soltanto le normative anti Covid, ma anche le più elementari regole di rispetto dell’ambiente, i rifiuti abbandonati che, a suo dire, hanno raggiunto livelli tali da pregiudicare la salubrità del luogo.
Insomma, la tanto vituperata movida pare essersi trasferita dalle rive del mare a quelle dei laghi alpini. Che fare dunque? Da persona che frequenta la montagna sin dalla più tenera età, mi sento di dire che si impongono alcune considerazioni.
Innanzitutto, va osservato che questi flussi abnormi si sono concentrati soprattutto in località che già beneficiavano di un considerevole numero di turisti. Per tornare al citato lago Sorapis, già tre anni fa Flavio Lacedelli, presidente delle Regole e del Parco delle Dolomiti d’Ampezzo, aveva asupicato che «i media e i social finiscano per saturarsi di fotografie di quel lago e se ne dimentichino, così da tornare alla normalità». Tutte quelle vallate che da anni tentano la carta del turismo per contrastare lo spopolamento hanno sì visto un aumento delle presenze, ma definirlo tale da invertire la tendenza è eccessivo, tanto più considerando che si tratta di un boom estemporaneo.
In secondo luogo, c’è da chiedersi se a questo improvviso interesse per la montagna sia corrisposto un reale interesse per il “vivere la montagna”. In diverse zone il Soccorso Alpino ha lanciato l’allarme in merito all’aumento degli interventi di soccorso, il più delle volte causati da inesperienza e imprudenza. Alpinisti “improvvisati” insomma, che presi dall’entusiasmo per la vacanza in montagna si lanciano in escursioni al di sopra delle proprie capacità, senza equipaggiamento adeguato, e senza aver consultato né cartine topografiche né bollettini meteo. Senza contare episodi di scarso rispetto dell’ambiente e di chi vi lavora: rifiuti abbandonati, ingressi “a forza” in rifugio alle prime gocce di pioggia (magari del tutto previste) incuranti del sovraffollamento, traffico automobilistico anche in alta quota pur di non faticare camminando. Nulla di nuovo, in realtà, ma quest’anno la cosa ha raggiunto dimensioni più rilevanti.
Detto ciò, tuttavia, la soluzione non è evidentemente quella di precludere in toto l’accesso a queste bellezze; ma cercare di sfruttare questa occasione per creare la giusta consapevolezza.
Innanzitutto sul fatto che la montagna chiede rispetto, che non significa soltanto non abbandonare rifiuti o non fare manbassa di stelle alpine. Significa preferire le località meno note ma non per questo meno belle, così da alleggerire la pressione su quelle troppo frequentate e scoprire i villaggi e chi li abita; e aiutare nel contempo a costruire il futuro di questi luoghi. Significa saper ascoltare sé stessi e la montagna, scegliendo itinerari adeguati alle proprie capacità, e percorrendoli al momento giusto e con l’attrezzatura adeguata, senza lasciare traccia del proprio passaggio. Perché la montagna non perdona chi le si avvicina con un atteggiamento di sufficienza, di noncuranza o di arroganza. Significa non limitarsi a godere delle bellezze naturali, ma fare attenzione anche a tutto ciò che sta loro attorno, il silenzio, i profumi, finanche le intemperie. Significa non pretendere tutto e subito, perché stare nelle terre alte significa adeguarsi al luogo in cui si è. In altri termini: se siete in un rifugio a 2800 m, prima di lamentarvi perché non hanno il vostro piatto preferito a cena, pensate a che cosa significa portare i viveri fin lassù. Significa essere flessibili, saper cambiare programmi e itinerario a seconda del tempo, delle condizioni del tracciato e delle proprie forze.
Se questa strana estate 2020 avrà contribuito a far crescere questa consapevolezza, allora anche l’affollamento da Covid non sarà passato invano.