Monito dell’Onu all’Italia: la Libia non è un porto sicuro
Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 4569 (agosto 2020) ha rigettato l’appello che Asgi, Amnesty international Italia, Ecre, ICJ e Differenza Donna Ong avevano presentato per contestare il finanziamento concesso alle autorità libiche (del Gna di Tripoli) per l’attività di controllo delle frontiere marittime tramite la Guardia costiera. La contestazione si riferiva ai 2,5 milioni di Euro concessi nel 2017: la burocrazia non ha timore del trascorrere degli anni. Tra le motivazioni di rigetto dell’istanza, il Consiglio di Stato afferma in sintesi che : «Non c’è prova di una violazione dei diritti umani». A luglio 2020, fra l’altro, il Parlamento italiano ha rifinanziato, come ogni anno, gli interventi in Libia. Questa volta con con 58 milioni di Euro, di cui 10 alla Guardia costiera.
Il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury, ha commentato così la sentenza del Consiglio di Stato: «È una sentenza deludente, che ignora la realtà. Il Consiglio di Stato si limita a richiamare… le finalità astratte meramente dichiarate dal Governo italiano, senza tenerne in considerazione gli effetti concreti consistenti in violazioni del diritto di asilo, detenzione arbitraria e ampia diffusione della tortura – fenomeni la cui esistenza, peraltro, non è contestata dalle stesse autorità italiane».
Il 7 settembre 2020, dopo 2 anni di non pronunciamenti ufficiali, l’Unhcr (l’Alto commissariato Onu per i rifugiati) ha preso finalmente posizione con un documento di 17 pagine che non lascia più, ufficialmente e giuridicamente, nessuno spazio a dubbi ed ambiguità: la Libia non può mai essere considerato un porto sicuro per i migranti salvati in mare. E questo riguarda anche l’attività della Guardia costiera libica, che solo nel 2020 ha riportato in Libia 8435 migranti che tentavano di raggiungere le coste italiane o maltesi, spesso intercettandoli su segnalazione (sottobanco) delle autorità dei due Paesi.
Nei giorni precedenti alla nota ufficiale dell’Unhcr, Stephanie Williams, capo provvisorio della missione Onu a Tripoli, aveva scritto al Consiglio di sicurezza che «la Libia non può essere considerata un porto sicuro per lo sbarco», aggiungendo che nelle prigioni ufficiali del Governo si trovano circa 2.400 stranieri «regolarmente sottoposti a gravi violazioni dei diritti umani». E, occorre aggiungere: senza contare il numero maggiore e sconosciuto di reclusi che si trovano nei centri delle milizie filo-governative colluse con i trafficanti di esseri umani, se non esse stesse promotrici di questo traffico.
L’Unhcr non usa mezzi termini: «In tutte le strutture di detenzione, le condizioni non soddisfano gli standard internazionali e sono state descritte come orrende e crudeli, disumane e degradanti. Sono stati segnalati decessi durante la detenzione a causa di violenza, suicidio e malattia. Richiedenti asilo, rifugiati e migranti, compresi i bambini, sia maschi che femmine, sono regolarmente sottoposti a tortura e altre forme di maltrattamento, inclusi stupri e altri forme di violenza sessuale».
Come sottolinea Nello Scavo (su Avvenire, 8 settembre 2020), Italia e Malta rischiano dopo questo pronunciamento di andare incontro a provvedimenti giudiziari da parte delle Corti internazionali, se continueranno nell’attuale prassi di segnalazione alla Guardia costiera libica delle posizioni in mare di imbarcazioni in difficoltà che trasportano migranti clandestini. All’Italia e a Malta è fatto esplicita richiesta di «astenersi dal far tornare in Libia le persone soccorse in mare e assicurare lo sbarco tempestivo in un luogo sicuro».
Sulla questione è voluto intervenire personalmente anche il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, testimoniando che la missione Onu a Tripoli (Unsmil) e l’Alto Commissariato delle Nu per i diritti umani continuino a ricevere segnalazioni di detenzione arbitraria o illegale, tortura, sparizioni forzate, sovraffollamento. E questo non solo nelle prigioni clandestine dei trafficanti, ma nelle stesse strutture di detenzione sotto il controllo del Ministero dell’Interno libico.
Nesuno può certamente negare che gli sbarchi di migranti in Italia costituiscano un problema per il Paese. E lo stesso vale per gli sbarchi a Malta e ancor più in Spagna e in Grecia. Ma sono problemi che esigono di essere affrontati, magari come Ue. La soluzione non può mai essere negare ogni diritto. In questo caso non basterà schierare le navi da guerra. O si afferma il diritto o tanto vale sparare (come ha fatto diverse volte impunemente la Guardia costiera libica).