Monica o l’intelligenza dell’amore
Anche la madre di sant’Agostino avrebbe scritto le sue Confessioni? Parrebbe di sì, a giudicare dal libro di Lucia Tancredi Io Monica (Città Nuova Ed.): in realtà una sorta di diario che si distacca nettamente dalle numerose biografie dedicate a questa donna straordinaria, e quasi sempre frutto di un’operazione di forbici e colla dei testi agostiniani. Quanto a me, devo confessare – visto che siamo in argomento – di aver trovato in queste memorie immaginarie il necessario complemento a Mia madre, l’ineguagliato ritratto di Monica che padre Trapé ricavò dalle opere in cui Agostino parla di lei: vi ho scoperto la donna narrata da un’altra donna che ha saputo coglierne l’anima, farne sentire la voce, con esiti anche letterari di alto livello. Dall’autrice di questo singolare testo – originaria del Gargano ma trapiantata nelle Marche – vengo a sapere che si è avvicinata al personaggio inconsapevolmente, alla lontana (o è stata Monica a venirle incontro?). Era il 2000, anno in cui usciva il primo numero di EV, mensile di scrittura ricreativa: un progetto piuttosto temerario portato avanti con Stefania Monteverde, una mia amica insegnante di lettere come me. Non a caso il nome deriva dall’ebraico avà, che vuol dire soffio vitale: la sfida infatti, era di recuperare la lingua materna del racconto, una lingua capace di creare passaggi, aperture, tra uomini e donne, e tra culture diverse. Composta da numeri monotematici, con articoli di storia, filosofia, poesia, cinema, racconti di viaggio e interviste a personaggi colti in una dimensione quotidiana, domestica, per la sua vivacità culturale la rivista attrae, tra i collaboratori, nomi importanti nel campo degli studi storici, biblici, filosofici, della letteratura, dello spettacolo, della fotografia… Avventura appassionante, dunque, ma per una stagione ahimè troppo breve. Sì perché l’impresa stava cominciando ad assumere proporzioni insostenibili per via dei nostri impegni a scuola e in famiglia, per non parlare delle pesanti tasse da sborsare. Io e Stefania però non abbiamo mai detto: chiudiamo. Piuttosto: prendiamoci una pausa e poi vedremo il da farsi. E Monica, cosa c’entra in tutto questo? Beh, intanto per il secondo numero, Veli, eravamo andate a raccogliere materiale fra le donne di Algeri, all’epoca un posto pericoloso soprattutto per intellettuali e giornalisti. Molte di loro erano cabile dell’altopiano della Numidia da cui anche Monica proveniva . La Tancredi si ricorderà del loro impeto, della loro sensualità, del loro linguaggio immaginoso, per ricreare la figura della madre di Agostino. In seguito, invitata a scrivere un testo che valorizzasse le città d’arte del Maceratese, nei miei fine settimana liberi dalla scuola girovagavo in auto per le Marche, scoprendone le bellezze. Tra l’altro, in quel periodo, il mio cristianesimo era in piena crisi, vivevo una fase di lontananza dalla Chiesa; in compenso, scoprendo cripte, chiese di campagna, addirittura pollai dove erano custodite immagini sacre di grandi maestri rinascimentali, avevo modo di fare una profonda riflessione spirituale. Il posto che prediligevo era, nel convento degli agostiniani a Tolentino, una stanza completamente affrescata con i miracoli di san Nicola. Nei miei momenti di incertezza e di sconforto sostavo in questa stanza delle meraviglie ponendomi in ascolto… non so bene di cosa. Ma anche non definire questa cosa mi piaceva. I miei Racconti di viaggio, usciti nel 2003, sono stati presentati proprio in quel convento da padre Franco Monteverde, il mio genius loci a Tolentino. Doveva aver intravisto nel mio lavoro qualcosa di più profondo, perché alla fine mi ha proposto di cimentarmi in una biografia della madre di sant’Agostino. Pur lusingata, gli ho espresso le mie perplessità: forse ero la persona meno adatta, in quel momento la mia fede aveva più dubbi che certezze; per di più ero assolutamente sfornita di un supporto teologico. E padre Franco, a bruciapelo: Lei è una madre, vero?. Sì, ho un figlio sedicenne che in questo momento mi dà non pochi pensieri. La invito allora a leggere i passi delle Confessioni dove Agostino parla della sua prima giovinezza. Lo sa che santa Monica è la protettrice della madri in difficoltà con i propri figli? Non si preoccupi, lei è molto meno lontana dal personaggio di quanto possa pensare…. La mia, dunque, non è stata una scelta razionale, ma un aderire a qualcosa che in quel momento… ecco, s’era creato uno di quei passaggi!. Il primo dilemma della Tancredi, immersa nella lettura dei numerosi testi forniti dagli agostiniani, è cosa dire che non sia stato già detto su questa donna del IV secolo di cui si sa solo quanto ne ha scritto Agostino. Monica poi non la ritrovavo nelle immagini dell’arte, dove compare o come la dama fiorentina ritratta da Benozzo Gozzoli, oppure – forse per l’assonanza monica- monaca – come una anziana suora nerovestita dal viso arcigno. Deludente anche l’investigazione dei luoghi: Souk- Ahràs (l’antica Tagaste), Cartagine, la stessa Milano del tempo di Ambrogio oggi conservano poco o niente dei tempi di Monica e non aiutano a ricostruire l’atmosfera. Il luogo più legato alla sua memoria è forse Ostia antica, dove lei concluse la propria esistenza mortale lasciando il figlio solo e libero ormai di camminare sulle sue gambe. L’illuminazione viene alla Tancredi accompagnando i suoi alunni in gita scolastica a Villa Adriana, nei dintorni di Tivoli: In questo luogo di cui erano impregnati già prima di metterci piede per essersi appassionati alla lettura delle Memorie di Adriano della Yourcenar, percepivano dovunque la presenza dell’imperatore: lì, più anticlericaliche la storia, aiutava la letteratura. Da qui l’idea di raccontare Monica con una biografia romanzata. La prima sensazione, in questa impresa, è stata quella di ampliare, disfare e disporre a mio piacimento di un’esistenza altrui, disancorata, lasciata alla mercè dei vivi. Poi, il profilo di Monica ha cominciato a precisarsi, a semplificarsi, a delinearsi nei tratti essenziali, ad incorporarsi poco per volta alla mia vita. Monica è stata una donna e una madre, e questo è stato facile da intendere. Ma è stata anche una santa, una mistica. Ed io inizialmente non trovavo parole per raccontare questo. Mi sono venute in soccorso in modo particolare alcune donne a cui devo molto. La prima è la scrittrice Cristina Campo che ha saputo raccontare dell’anima e dei sensi soprannaturali con l’esempio di una prosa tra le più belle del Novecento. (Ho comunque tenuto conto anche del linguaggio colorito e fiorito di aggettivi delle nuove Shahrazad conosciute ad Algeri; e perché no? anche del latino lussureggiante e non certo ciceroniano dell’africano Agostino). L’altra è la filosofa Marìa Zambrano, che ha saputo piegare le parole a tradurre le ragioni del cuore e il sentire originario, autrice di un saggio perfetto dedicato ad Agostino: La confessione come genere letterario. E ancora, la filosofa Luisa Muraro che mi ha insegnato a conoscere la teologia in lingua materna, facendomi intendere che tutto quello che all’inizio mi appariva vuoto ed insufficiente – la mia fede malferma, i dubbi, l’afasia – erano una vacanza che dovevo concedermi. E che il cuore non deve vergognarsi di essere, qualche volta, povero di teologia, semplice come un ingenuo del villaggio. Così, nei passi più impegnativi, ho composto le parole con gli stessi movimenti di quando si cuce, in cui la mente si riposa non nutrendo altra ambizione che tenere dietro ad una riga. Quale l’intento della Tancredi nello scrivere su Monica? Mentre gli uomini hanno la necessità di avere di fronte l’oggetto del loro amore, o comunque di definirlo, le donne sono per natura in grado di amare intensamente pur senza vederlo. Forse che una madre non ama il figlio ancor prima che venga alla luce? Ma una donna non deve necessariamente partorire un figlio; lei partorisce sempre, nel senso di fecondità spirituale. In realtà, essendo in grado di concepire il vuoto o come un passaggio o come qualcosa che dev’essere fecondato, per una donna il vuoto stesso è un momento di grazia, una sponda che conduce ad un’altra dimensione: a patto di lasciarsi andare, di affidarsi all’intelligenza dell’amore. E proprio questo è stato, a mio avviso, ciò che Monica ha saputo dare ad Agostino nella sua tormentata ricerca spirituale: l’esempio di una maniera diversa di avvicinarsi a Dio, di avere un colloquio con lui pur senza vederlo. E che prima di morire Monica facesse le sue confessioni non tanto per lasciare ad Agostino qualche ricordo di sé quanto per invitarlo, con grande umiltà, a fare anche lui questo passaggio oltre la mediocrità del quotidiano, assecondando l’enormità dei propri desideri e affidandosi all’intelligenza dell’amore. È questo essere di Monica che la rende moderna e che vorrei restasse nel lettore, più che il personaggio.