Monfalcone, alla ricerca dell’integrazione
Monfalcone, cittadina in provincia di Gorizia nota per i suoi cantieri navali, risale periodicamente agli onori delle cronache: principalmente per gli screzi tra l’amministrazione comunale e la numerosa comunità migrante (circa un terzo dei residenti, e la metà dei nuovi nati), ma non mancano nemmeno i casi di caporalato all’interno della cantieristica. Tra le vicende che avevano avuto maggior risonanza mediatica c’era stata la diatriba tra la sindaca leghista Anna Maria Cisint (ora europarlamentare, e al momento sostituita dal vicesindaco) e la comunità musulmana, che si era vista negare il permesso di riunirsi per pregare nella propria struttura, a motivo di una (pretestuosa, secondo i fedeli e secondo gli oppositori della sindaca) mancata idoneità; caso simile per il gioco del cricket, molto popolare nella comunità bengalese; e poi c’era stato il divieto per le donne musulmane di fare il bagno vestite alla spiaggia di Marina Julia, motivato con ragioni igienico-sanitarie.
La questione è naturalmente molto complessa: riguarda infatti aspetti religiosi, sociali e di politiche del lavoro, e sarebbe fuorviante ridurre il tutto ad una crociata tra una (ormai ex) sindaca che da anni grida alla “sostituzione etnica” e una comunità musulmana, bengalese in particolare, che incontra difficoltà ad integrarsi. Per questo si è mossa anche l’amministrazione regionale, e a fine ottobre la quinta e la sesta commissione del Consiglio hanno chiesto, per tramite delle opposizioni, un’audizione sul “Piano Monfalcone”: un documento che intende tracciare un quadro della situazione attuale e le linee di intervento. A partecipare sono stati appunto Anna Maria Cisint, essendo stata lei il sindaco negli ultimi 8 anni, altri sindaci e assessori dei Comuni limitrofi, rappresentanti di varie realtà della società civile, associazioni, parrocchie, e anche rappresentanti della comunità bengalese. L’audizione era stata preceduta alcuni mesi fa da un’altra in seconda commissione, sui temi del lavoro.
In realtà i contenuti del Piano Monfalcone − accusano le opposizioni − sono ancora estremamente vaghi; ma nondimeno il dibattito è stato istruttivo per capire quale sia la situazione attuale della città, che si pone come una sorta di “laboratorio di convivenza” (almeno possibile) che interessa tutto il Paese alla luce dei flussi migratori.
«Vogliamo mettere la situazione sotto la lente di ingrandimento − ha spiegato il consigliere Bullian del Patto per l’Autonomia, uno dei richiedenti l’audizione − per dare agli amministratori locali e al legislatore regionale gli strumenti di lavoro necessari a migliorare la convivenza e l’integrazione in una città, Monfalcone, in cui un residente su tre è straniero. Lasciamo sullo sfondo contrapposizioni politiche e polemiche, e lavoriamo con, e non contro, le comunità di stranieri, senza sottrarci alle difficoltà».
La prima ad intervenire è stata Cisint, che ha rimarcato per prima cosa proprio le criticità in questo senso: ha parlato infatti di rifiuto da parte di alcune comunità migranti di accettare percorsi di integrazione, mancata disponibilità a rispettare le leggi, restrizioni sulle ragazze e necessità di un cambio della normativa sui ricongiungimenti familiari: «Con un reddito minimo di 12.600 euro lordi un lavoratore può chiedere il ricongiungimento di due familiari. Questo ha portato a un progressivo aumento della presenza di stranieri, che ha superato il limite di sostenibilità sociale e urbanistica. Gli immigrati sono il 30% dei residenti; ricevono il 100% dei sostegni scolastici e il 75% degli altri contributi sul welfare».
Dura la risposta dei rappresentanti della comunità musulmana: «Di tutto ciò che ha detto, l’unica cosa vera è che un cittadino su tre è un immigrato − ha chiosato Bou Konate, senegalese, laureato in ingegneria e con un’esperienza di assessore di Monfalcone alle spalle −. Senza immigrati, Fincantieri oggi avrebbe dei grossi problemi. E anche i livelli di natalità locale. Nel presente, è fondamentale far apprendere l’italiano; il lavoro delle associazioni e dei privati non basta, c’è bisogno delle istituzioni pubbliche. Per il futuro, bisogna scommettere sui ragazzi, dove il doposcuola è una necessità, perché i loro genitori non possono sostituire l’aiuto della scuola, visto che loro stessi spesso hanno delle difficoltà di integrazione».
Anche il presidente dell’associazione Monfalcone interetnica (Ami), Arturo Bertoli, ha accusato Cisint di una rappresentazione falsa della città, a cominciare da affermazioni come «”gli uomini non vogliono imparare l’italiano e le donne non possono venire a lezione perché i mariti non glielo permettono”. Solo quest’anno abbiamo chiuso le iscrizioni per i corsi, che svolgiamo da ottobre a giugno, per 260 donne. E non è vero che le donne non possono lavorare o che gli stranieri fanno opera di islamizzazione: non mi risulta alcun convertito. All’opposto, abbiamo avuto un’alta partecipazione alla nostra festa di Natale interetnica. Non c’è alternativa alla coesione sociale: non è solo che oggi gli italiani non voglio fare certi mestieri, ma non ci sarebbero proprio abbastanza giovani per garantire tutto il lavoro».
Anche don Flavio Zanetti, che ha parlato a nome delle parrocchie monfalconesi, ha fatto presente che le difficoltà di integrazione non riguardano solo gli stranieri, ma anche italiani arrivati negli ani ’90; invitando a concentrarsi su azioni come l’educazione civica, le politiche abitative, la sicurezza sul lavoro, l’istruzione e momenti di incontro, a beneficio di italiani e stranieri insieme.
Si è parlato anche di scuola, con i dirigenti scolastici locali che hanno illustrato sia le difficoltà che i successi degli alunni stranieri (perlopiù comunque nati in Italia); e di progetti, di cui alcuni anche già avviati nei Comuni vicini e replicabili come buone pratiche, per l’integrazione in particolare attraverso lo sport. Il presidente del Coni Fvg, Sergio Brandolin, ha in particolare proposto di riprendere il progetto iniziato con la Regione nel 2016, ma bloccato l’anno dopo, a Monfalcone e Udine di attività sportiva e motoria nelle scuole elementari per bambini stranieri, trovando anche la disponibilità del presidente della Federazione cricket italiana, Fabio Marabini, ad individuare in città una sede adatta per questo sport, rivolgendosi sia ad italiani che bengalesi. Sport che, si è osservato, è soltanto maschile e quindi non può dare una risposta all’integrazione della componente femminile; ma può essere un primo passo per individuare poi un percorso analogo con un’altra disciplina sportiva.
Diverse proposte sono arrivate anche dai sindacati, sia per quanto riguarda l’insegnamento dell’italiano che l’inserimento al lavoro; ma anche per quanto riguarda la scuola, con Ugo Previti della Uil che ha suggerito di scegliere Monfalcone come mandamento-pilota per la sperimentazione di classi con soli 12 alunni, così che − italiano o stranieri che siano − possano essere meglio seguiti e integrati. Si potrebbe così dare una risposta anche al problema segnalato dalla Lega dell’abbandono scolastico, in particolare da parte delle ragazze. Non sono mancate nemmeno le accuse a Fincantieri, che secondo la deputata di Avs Serena Pellegrino ha «chiuso gli occhi su lavoratori pagati 3 euro l’ora».
La questione è evidentemente del tutto aperta, e sarebbe riduttivo credere che abbia valenza solo locale: le questioni che Monfalcone pone sotto il profilo sociale, culturale, dell’istruzione e del lavoro riguardano infatti potenzialmente tutto il Paese, pur essendo molto più evidenti nella città isontina. E siamo quindi tutti chiamati ad interrogarci.
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