Mondrian l’unità degli opposti
Per i non addetti ai lavori Mondrian può spesso risultare fra gli artisti più ostici del Novecento. Le sue griglie a losanghe nere e i suoi reticolati di soli colori primari non offrono appiglio ad un residuo di immagine. L’astrazione è totale, eppure una così ardita essenzialità scaturisce proprio da un rapporto di dialogo con la realtà e in particolar modo con la natura. In mostra troviamo i soggetti naturalistici meno noti al grande pubblico: boschi, dune, vallate, fiori, e poi mulini, fari, campanili: elementi del paesaggio olandese che caratterizzano gli esordi del pittore. La ricerca incessante della verità racchiusa nella natura lo spinge a condividere per un periodo i principi della teosofia: l’unità tra le religioni, l’armonia tra interiorità e mondo esterno. Il mezzo per dar forma al proprio credo è l’arte; l’opera fa da guida su un percorso che si eleva dalla materia, per usare le parole dell’artista. In un mondo concepito come un tutto unitario, retto da leggi e principi matematici, dove i poli opposti tendono alla ricomposizione e all’armonia cosmica, ogni elemento della natura può trasfigurarsi per farsi tramite di verità. Gli alberi si propongono come punto di ricongiunzione fra la terra, dove affondano le radici, e il cielo in cui stendono i rami. Eppure l’albero di Mondrian è un qualcosa di ancora più importante; diventa il tema su cui il pittore intraprende il cammino dell’astrazione. Nel giro di pochi anni (1908-1912) i rami già spogli diventano ancor più essenziali; via tutti gli accidenti naturalistici. Tolti gli snodi e le deviazioni, ogni ramo diventa una pura linea curva che alla fine si propone come ordito geometrico. Nel 1912 solo il titolo Melo in fiore ci rivela il soggetto, ma ormai i segni seguono un tracciato autonomo; svincolata da ogni residuo di immagine, l’opera di Mondrian segue un inesorabile processo di spoliazione: una rincorsa all’essenziale tanto drastica rispetto alle leggi della vita quotidiana quanto è connaturata alle leggi più intime della vita interiore. I segni acquistano potenza e autonomia, le composizioni diventano rigorose; sacrificata anche la linea curva, ultimo apparente residuo di natura, l’artista approda al noto tracciato di losanghe nere. Anche i colori lasciano cadere ogni sfumatura naturalistica per darsi in modo puro: il giallo, il rosso e il blu dei colori primari. Infine i titoli: non più Albero, Molo, ma piuttosto Composizione A, Composizione con linee doppie, ecc. La natura e la vita sono apparentemente ban- dite dall’opera di Mondrian, più interessato alla struttura interna delle cose che all’aspetto delle cose stesse. Ma proprio tale struttura rivela le dinamiche interne della natura. L’infittirsi e il rarefarsi delle linee mostra il mutevole scontro fra verticali e orizzontali, alto e basso, bianco e nero. Una dialettica fra le parti che decisamente porta verso l’unità. Ogni linea sembra esistere in funzione dell’altra, ogni spazio bianco in funzione del colore. È così che allontanandosi dal naturalismo e inoltrandosi nell’esperienza astratta, Mondrian rivela con la sua opera qualcosa che va al di là della natura; si spinge dentro, in profondità, quasi a voler mostrarne l’anima. Nella natura della natura stessa c’è un vuoto solo in opposizione ad un pieno che lo possa riempire, e un pieno solo in relazione a un vuoto che lo possa contenere. Appreso questo mistero, lo spettatore può tornare alla natura e scoprire che il positivo respinge il negativo ma al tempo stesso lo attrae, lo chiama a sé. L’opera d’arte introduce così ogni spettatore all’esperienza dell’unità degli opposti. È possibile ora affacciarsi alla finestra fatta di familiari losanghe per portare lo sguardo oltre i limiti del muro; gli alberi si stagliano sulla linea d’orizzonte: verticale- orizzontale, cielo e terra s’incontrano. Si ritorna trasformati a guardare la natura fatta di pieno e vuoto, amore e odio, sole e luna, vita e morte; ma in tutto si scorge la grande verità che questo artista ci ha mostrato: L’unità di positivo e negativo è felicità.