Mondragone oltre la cronaca, tra ferite e semi di speranza

La presenza solidale della comunità ecclesiale di Mondragone, attiva nel costruire legami di fraternità dentro un territorio ricco di risorse e umanità, ma ferito da diverse contraddizioni sociali emerse nella cronaca nazionale per il contagio da Covid 19 emerso tra i numerosi braccianti provenienti dalla Bulgaria
Mondragone, volontari comunità ecclesiale

Mondragone (Caserta). C’è un’umanità ferita da raccontare, un popolo accogliente da sostenere ed un bene capace di umanizzare il tessuto sociale a Mondragone, perché la fraternità universale inizia dall’angolo di mondo in cui la vita ci ha destinati; un obiettivo così alto da sembrare utopia può diventare realtà a cominciare dai nostri ambienti di vita quotidiana, cooperando con tutte le forze positive che operano nei territori.

L’impegno efficiente della Caritas diocesana che ha istituito la mensa diocesana “Pane Quotidiano”, da dieci anni il consultorio diocesano “Giovanni Paolo II” con i servizi di ascolto e assistenza ambulatoriale, la presenza pluridecennale della comunità di San Rufino, la parrocchia al centro del quartiere dove si trovano i palazzi “ex-Cirio”.

Diverse persone del Movimento dei Focolari  impegnate nel sociale, a Mondragone, cercano di tessere rapporti di unità, facendo delle fatiche e degli ostacoli una pedana di lancio sempre fedele e creativa. È una periferia sociale, urbana: la strada che dal Viale Margherita porta ai palazzi, a pochi passi dal centro città, è dedicata a don Salvatore Razzino, primo parroco della nuova chiesa. I palazzi, quasi velatamente celati dal ritmo quotidiano di Mondragone, meta turistica per il mare eccellente, i prodotti locali (famosissima per la mozzarella) e la presenza di siti archeologici di rilievo, da circa 15 anni, gradualmente, hanno accolto una folta comunità proveniente dalla Bulgaria (quasi tutti di Nova Zagora, città nella provincia di Sliven).

Il vescovo della diocesi di Sessa Aurunca, Orazio Francesco Piazza, è stato il primo a denunciare in questi anni lo sfruttamento dei braccianti bulgari e le condizioni abitative in cui versano coloro che vivono in questo agglomerato urbano.

Nelle ultime settimane tra queste persone è stato registrato un alto numero di positivi al covid-19: da subito l’area è divenuta zona rossa e sono iniziate le campagne di screening attraverso tampone volontario alla popolazione.

Il clima sociale che si è creato è stato contrassegnato da scontri e polemiche: sin da subito il vescovo, in un comunicato, ha chiesto di evitare atteggiamenti xenofobi appellandosi alla sensibilità di tutti i cittadini, poiché «ci sono vite in gioco, ed ogni uomo aldilà del colore, della nazionalità, della cultura è figlio prezioso agli occhi di Dio».

Per il vescovo la parrocchia si distingue per «una dedizione che talvolta rasenta qualche umiliazione, ma difronte a cui non si sono mai tirati indietro a cominciare dal parroco don Osvaldo Morelli, dai collaboratori e tutti gli organismi ecclesiali che stanno operando sul territorio. Una presenza convinta, disponibile ed accogliente: ben consapevole delle difficoltà che sono sul territorio, solo attraverso un percorso graduale e progressivo si rende possibile una integrazione non solo necessaria ma dovuta, proprio perché quella umanità ferita non deve pagare un prezzo ancora più alto. Ci sono resistenze senza alcun dubbio, sono comprensibili, in una condizione di povertà e di emarginazione è ovvio che all’impegno ecclesiale, mi auguro, corrisponda anche un impegno civile e sociale. Sono componenti essenziali, chiamate a rispondere ad una necessità che ormai ha assunto i toni dell’emergenza».

Per Corinna Mazzucchi, volontaria del Movimento, docente e responsabile del consultorio diocesano «le scuole del territorio, tra mille difficoltà, si sforzano di promuovere l’accoglienza e l’inclusione, mettendo in campo risorse e progetti a favore degli stranieri. Un’opera difficile da realizzare a causa di una diffusa disgregazione del nucleo familiare e dalla conseguente dispersione scolastica. La povertà, il lavoro nei campi dei genitori, la diffidenza, i continui spostamenti da un luogo all’altro o il rientro in patria per mancanza di lavoro, rende impossibile una regolare frequenza scolastica. Sono bambini e ragazzi segnati dalla sofferenza, evidenziano problemi di apprendimento, relazionali, di comportamento e difficoltà linguistiche. Da qui la necessità di un mediatore culturale. La promozione, anche da parte di Associazioni e Movimenti laicali, di progetti di aiuto concreto, di accoglienza attraverso lo sport, il gioco, di lezioni di cittadinanza, di come si vive con l’altro, farebbero da supporto alla scuola in un clima di vera collaborazione per la crescita e la formazione di un contesto sociale certamente migliore». Con la Fondazione Migrantes lo scorso autunno è stato organizzato un corso di italiano certificato.

Nelle situazioni di emergenza si determinano sempre le difficili interazioni tra le istituzioni, molte volte solo la chiesa diocesana è “in uscita” sul territorio, nella sua vicinanza con un sostegno alle fasce più povere della popolazione. Con il consultorio «offriamo sostegno, mediazione familiare e culturale, cure mediche, visite ginecologiche, pediatriche e consulenze legali per tutti gli stranieri del territorio. Una porta sempre aperta ai bisogni dell’altro, anche nel dare una semplice informazione o indirizzare gli utenti alle apposite strutture sanitarie». Nei locali è infatti allestita anche una “Bottega solidale”, che prepara corredini per le neo mamme e cerca di far fronte a tutti coloro, che non possono permettersi di acquistare indumenti nuovi.

Centrale è il ruolo di coordinamento che la Caritas diocesana cerca di offrire alle parrocchie di Mondragone, proprio a San Rufino è da quasi 5 anni che la mensa diocesana assicura circa 80 pasti, sei giorni su sette: «vi accedono persone di diverse nazionalità, vi sono cristiani, musulmani, ortodossi e credenti di altre religioni – commenta Iuse Bencivenga, segretaria della Caritas – non si tratta solo di assicurare un pasto, ma di offrire soprattutto un senso di famiglia, di calore e la certezza di sapere che vi sono persone che possono venire loro incontro: quando possibile nell’aiuto concreto o anche solo per l’ascolto».

Ed è per questo che gli spazi sono stati realizzati in uno stile familiare: le pareti colorate, i tavoli apparecchiati con tovaglie di stoffa e le stoviglie, rigorosamente in ceramica, acciaio e vetro. Convinzione comune è che a tavola si creano veri legami di fraternità: «nel corso di questi anni ho avuto modo di incontrare, conoscere e fare amicizia con molti di loro. Molte sono le esperienze vissute insieme, tra le quali la nascita di una bimba che ha festeggiato con noi, portando dei dolci tipici polacchi, il suo primo compleanno; oppure una famiglia marocchina che si è resa disponibile nell’organizzare a casa, per la domenica, un pranzo con altre persone conosciute in mensa…perché sanno che alcuni sono soli e chi ha di più condivide con chi non ha».

Non mancano evidenti difficoltà con i bulgari: «entrano, si siedono, consumano il loro pasto e poi vanno via; vedono la mensa solo come un luogo dove accedere per soddisfare un bisogno e non come un mezzo per poter allargare l’orizzonte e guardare più in là». Non è facile guadagnarsi la fiducia di persone che, vittime dello sfruttamento del caporalato, guardano con sospetto anche la realtà ecclesiale che tenta un dialogo essenziale per l’integrazione. Per questo per il vescovo «la comunità deve tenere alta l’attenzione e deve sopperire e garantire comunque la dignità umana che spetta ad ogni persona per recuperare il senso di un’appartenenza che probabilmente fino ad oggi, faticano a sentire propria sentendosi protetti e garantiti solo in questa dimensione di auto-chiusura. È evidente che offrire spazi di condivisione diventa una scelta assolutamente necessaria per camminare sulla strada dell’accoglienza, del dialogo, dell’ascolto e anzitutto della dignità umana di cui dobbiamo essere i primi testimoni».

Ci sono speranze che resistono tra contraddizioni e ostacoli. Come afferma, Teresa Villoni, una giovane di 22 anni impegnata sul territorio, «Purtroppo non conosco la lingua bulgara… Abbiamo avuto situazioni spiacevoli in cui le nostre comunità territoriali si sono scontrate. Ma sono speranzosa in un incontro fruttuoso perché anche in un clima dove viene seminato l’odio, con un sorriso o un semplice “Come stai? Hai bisogno di qualcosa?”, possiamo far germogliare i frutti dell’accoglienza. Il Movimento dei Focolari mi ha insegnato a lanciarmi dall’alto trampolino dell’amore reciproco, che non ha confini linguistici, culturali o di fede. Ho vissuto numerosissime esperienze con ragazzi di altre nazionalità, che potrebbero essere stati comunemente definiti “diversi” da chi i paraocchi non vuole toglierli. Grazie a loro ho capito quanti doni Dio ci abbia fatto per rendere vario e unico ciascun Paese in tutto il mondo. Devo a questa esperienza la scelta di intraprendere un cammino di studi incentrato sull’apprendimento delle lingue e culture internazionali».

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