Il mondo nei prossimi 20 anni
Zygmunt Bauman, recentemente scomparso, nel libro postumo Retrotopia, Edizioni Tempi Nuovi, 2017, ci avverte che si stanno delineando nuove aggregazioni social-popolari, di medie dimensioni nel Regno Unito, negli Usa e in diversi Paesi europei, che rivendicano chiusure sociali a tutti i livelli, contro le masse di immigrati, in particolare dalle aree mediorientali e africane. Cominciano ad esprimersi indubbi segni di solidificazione rispetto al mondo liquido, attraverso muri e frontiere nazionali. La globalizzazione in crisi ci spinge all’indietro, verso il passato, a causa della sfiducia globale per l’odierna economia. Il paradigma del progresso deve in realtà fare i conti con una stagnazione prolungata, con la “fine del lavoro”. Viviamo in una sorta di “interregno”, di “Medioevo digitale”. È un processo sociale che produce molte contraddizioni e che impone alle diverse agenzie educative di lavorare puntando alla formazione verso nuove combinazioni tecnologiche, culturali e sociali, per delineare nuovi modelli di sviluppo, oltre il profitto, verso la condivisione.
Oltre la società liquida
Oggi viviamo un cambiamento d’epoca. Come uscire dalla modernità e vivere nell’ “interregno”, cioè in questo periodo di transizione o di supplenza che spesso implica un’evidente provvisorietà? In questa situazione l’umanità sperimenta incertezza, solitudine, angoscia ma anche l’opportunità di scegliere la forma che dovrà caratterizzare il suo futuro. La crisi delle società occidentali appare ormai evidente. Spaesamento e insicurezza del caos globale sono state amaramente studiate da Zygmunt Bauman. Occorre, però, andare oltre la categoria di modernità liquida. Come definire questo periodo storico in cui vengono meno le sicurezze economiche di un sistema di produzione-lavoro-consumo-consumismo, le idee di uguaglianza, classe, massa, comunità? Spazio e tempo si contraggono con i social media. I comportamenti umani tendono alla omologazione. Gli Stati-nazione provano a ristabilire confini invalicabili. Il disordine a livello mondiale aumenta ma non sembra esserci alternativa al sistema globale che sta crollando. All’incertezza, cifra prevalente del nostro quotidiano, si reagisce con senso di precarietà, impotenza, paura, egoismo. Una società radicalmente nuova sta per nascere ma oggi è sconosciuta. Siamo instabili e sospesi tra il “non più” e il “non ancora”. Anche Gramsci direbbe che viviamo nell’”interregno”, dato che «il vecchio muore e il nuovo non riesce ancora a nascere». Sta allora a noi fare le scelte giuste sul piano economico, politico e culturale per costruire una società nuova, non predefinita ed etichettata.
Impegnato in questa ricerca, Marc Augé ha intrapreso un viaggio interessante attraverso i “nonluoghi” della società della conoscenza, come centri commerciali simili in tutto il mondo. Il suo è uno dei più attenti sguardi critici sulla modernità. La proposta per uscire dalla disuguaglianza prodotta dal neoliberismo negli ultimi 30 anni, in cui viviamo è chiara: l’utopia della conoscenza per tutti. L’umanità di oggi vive le illusioni e delusioni delle ideologie del ‘900 e di un processo scientifico e tecnologico inarrestabile, ma non comprende dove sta andando. Sembra schiacciata in un eterno presente, sfigurato da disuguaglianze vistose, da violenze e regressioni del pensiero.
Per Augé questa è la «preistoria dell’umanità come società planetaria». Come venirne fuori ed entrare in una nuova epoca?
Occorre cambiare radicalmente prospettiva: «La sola utopia valida per i secoli a venire e le cui fondamenta andrebbero urgentemente costruite o rinforzate è l’utopia dell’istruzione per tutti, l’unica via possibile per frenare una società mondiale ineguale e ignorante, condannata al consumo o all’esclusione e, alla fin fine, a rischio di suicidio planetario». Con la globalizzazione è venuto in evidenza l’“uomo generale”. Esiste la specie umana, il genere umano, al di là delle culture. Appare l’uomo, un animale sì ma simbolico e storico. Egli crea macchine ma queste restano solo utensili. L’uomo, pertanto, deve trovare il senso e la portata di questi cambiamenti, immaginare ciò che il mondo sta per diventare. Violenza, terrore, guerra, follia religiosa sono il passato da cui uscire: la preistoria. Serve un gigantesco sforzo in campo educativo. L’io è un altro. L’altro è un io. Solo una istruzione generalizzata può rendere evidente questa equazione, bilanciare egocentrismi, etnocentrismi, fanatismo religioso e proselitismo e farci entrare nell’«era planetaria» di un nuovo umanesimo.
Il mondo come patria
Questo immenso sforzo educativo esige un pensiero globale, afferma Edgar Morin in 7 lezioni sul pensiero globale (Raffaello Cortina, Milano 2016). Le nostre conoscenze sull’universo, sull’uomo e sulla vita stanno crescendo in maniera esponenziale. Ora è necessario collegarle per affrontare problemi complessi, vitali e fondamentali, con un pensiero complesso appunto. L’umano è interno all’universo e l’universo è interno all’umano. Come inserirci in questa straordinaria avventura della vita e dell’universo? Occorre «pensare globale». È necessario valutare la dimensione “trinitaria” dell’umanità: individuo, essere sociale, specie umana. La globalizzazione sta trascinando l’umanità in una corsa sfrenata. Quale futuro ci attende oltre la contingenza dell’attualità nella fase dell’“interregno”? Morin, umanista planetario, ci aiuta a scoprire la “terra patria” come comunità di destino attraverso la coscienza della cosmo-antropologia. Per comprendere la condizione umana nell’età globale, per affrontare l’incertezza, per gestire una nuova metamorfosi dell’umanità, che esce da un passato infantile, serve un pensiero complesso. Tale è se sa contestualizzare, capire le devianze, arrivare alla conoscenza della conoscenza. Siamo ancora all’inizio dell’inizio di questa avventura. Si avvertono molti punti di contatto tra il pensiero globale di Morin e l’“uomo-mondo” di Chiara Lubich. Ad esempio, uomo planetario di Morin è simile all’uomo cittadino del mondo perché una città non basta di Chiara Lubich.
I prossimi 20 anni
Nell’affrontare l’incertezza, cifra culturale del nostro “cambiamento d’epoca”, un celebre futurologo, J. Attali, si chiede cosa accadrà nei prossimi decenni, in Finalmente dopodomani. Breve storia dei prossimi vent’anni (Ponte alle Grazie, Milano 2017). Scenari terribili o soluzioni pacifiche? Sta all’umanità scegliere la direzione da prendere. Tutti dobbiamo essere consapevoli delle minacce che questo mondo contiene, valutare opportunità e rischi, giungere serenamente alla nuova epoca. Occorre tirar fuori tutto il buono di questo mondo. Dobbiamo evitare che la collera e la rabbia si trasformino in violenza planetaria. Dobbiamo sfuggire alle minacce climatiche, al terrorismo e alla degenerazione tecnologica. L’altruismo e la condivisione rappresentano il cambio di paradigma. Aiutare gli altri è il modo migliore di realizzare le nostre potenzialità e scegliere la propria vita. In sintesi, siamo chiamati a sostituire l’egoismo irrazionale e suicida con l’altruismo lucido nei prossimi 20 anni, prima che sia troppo tardi. È il passaggio al mondo unito di Chiara Lubich, al pensiero come amore, dopo il pensiero come mito e logos per il filosofo G.M. Zanghì. Dopo la crisi della modernità e del suo logos, a seguito delle tragedie del ‘900, ci attende una nuova epoca, definita da molti civiltà dell’amore, del noi, del pensiero trinitario.
Viviamo in un periodo storico in cui la politica è nelle mani di avventurieri, autocrati e politici deboli mentre l’economia è dominata da multinazionali e tecnocrati, il mondo del lavoro è una lunga parentesi tra disoccupazione e rottamazione. Ai cittadini rimane la scelta tra rassegnarsi e lamentarsi. Occorre scegliere ciò che si vuole essere e smettere di essere dei «rassegnati reclamanti». È possibile opporsi alla irresistibile ascesa del male. Questo è il cammino semplice indicato da J. Attali: «diventare sé stessi».