Il mondo immenso di Botero
Ad alcuni non piace. Non piacciono le figure extralarge, uomini e donne in carne, magari sfrontatamente messi in primo piano a guardarci. Quasi con un’aria di sfida, sorniona anche, a prendere in giro la moda del fisico perfetto, scolpito ed elegante, così occidentale ed europea. Tutta salute, avrebbero detto nel passato, quando “grasso era bello” (si vedano le Veneri di Tiziano o di Rubens…). Ma qui le facce impassibili, tranquille stanno in posa. È l’arte di Fernando Botero, 85 anni ben portati, diritto, in mostra al Vittoriano a Roma con un centinaio di opere. Botero rivisita i grandi maestri. Masolino e il suo Peccato originale di Firenze, per lui due nudi giganteschi l’uno di fronte all’altro o i ritratti dei Duchi di Urbino di Piero della Francesca. Con Botero diventano enormi profili stagliati contro un cielo plumbeo: non perdono né la durezza, il Duca, né la freddezza, la Duchessa. Oppure, l’Infanta Margherita di Velàzquez. O addirittura la Fornarina di Raffaello: donne ampie, non solo nelle vesti, di forme e colori splendenti, forti. Botero infatti ama la vita e la vita gli risponde presentandosi fra pennellate larghe e calde. Sembra di essere sempre sotto un sole torrido.
Anche nelle “nature morte”: i tavoli con arance o fiori o meloni brillano con una luminosità accecante. Botero coltiva tutti i generi della pittura. Quello religioso, ad esempio. Popolare, per nulla europeo: feste di colori, clima favolistico, e contemplazione naturale del divino in forme semplici e spontanee. Si va da Nostra Signora di Colombia in rosso e oro (ma che piange…e qui il discorso sociale si farebbe lungo), al Crocifisso morto come un campesino abbandonato; dal Seminario con i pretini (o pretoni)dagli occhi innocenti e sbalorditi al Nunzio in viola tra le palme. Fino al Cardinale dormiente (2004), bellissima scena rossa che “tocca il surreale ma non l’oltrepassa”, come dice Botero.
Ma Botero non sarebbe lui, cioè un latino-americano, se non si interessasse di politica, vista con l’anima del popolo, con l’attaccamento feroce alla propria terra. Sfilano i ritratti del potere: l’Ambasciatore inglese latteo e biondo, il Presidente con la sigaretta in mano, ancora il Presidente ed i ministri. Una ironia sorridente e non cattiva, come i ritratti dei reali di Goya, ma efficace. Castiga sorridendo i cattivi costumi della politica.
Ed infine la vita sudamericana. Le Sorelle in piedi come in una foto antica, tra il gatto e il cane di casa; le Signore del Club di giardinaggio, la Vedova col gatto rosso e i ragazzini ribelli, la Strada del paese e la sua gente umile e indaffarata. Sino alla Fine della Festa (2006) dove si è cantato, amoreggiato e si è dolcemente stanchi e felici.
Che mondo, questo di Botero. Colorato, dinamico, solido. C’è nella sua arte una abbagliante voglia di vivere, di stare al mondo. E lui lo guarda questo mondo, divertendosi, scherzando, soffrendo anche. Sempre curioso, affascinato dall’essere ancora qui. Che cosa vogliamo di più?
Fino al 27 agosto (catalogo Skira Arthemisia)