Mondiali in Ucraina
Un fermo immagine dalle parti di Zaporizhzhia: soldati ucraini che seguono una partita dei Mondiali qatarioti su un telefonino sporco di fango. Un’immagine che dice molto al cronista in mal di notizie sul conflitto che imperversa sulle rive del Dnipro.
C’è innanzitutto l’aspetto umano, se vogliamo ludico, il più ovvio. Anche i militari – delle due parti, non c’è da dubitarne – sono esseri umani che volentieri starebbero a casa a seguire Francia-Polonia o Inghilterra-Senegal, magari spaparanzati sul divano dinanzi a un grande schermo sorbendo una birra e giocando col bimbino. La guerra, nonostante le incredibili prodezze digitali che caratterizzano questo conflitto, è sempre e comunque fatta da uomini – e poche donne – che alla fine, salvo qualche eccezione da cogliere tra gli invasati, i fanatici e gli alcolizzati, vorrebbero far altro che rischiare la vita. Sì, c’è l’amore per la patria, ma il sentimento patriottico gioca fino a un certo punto, e non troppo a lungo.
Seconda riflessione: i media, proprio attraverso quegli schermi che trasmettono le pedate del Mondiale in Qatar,portano la guerra nell’intero pianeta, conferendole una dimensione universale che va ben al di là della localizzazione fisica nel quadrante ucraino. Non c’è nulla da fare, siamo ormai interdipendenti, malgrado i nostri perfidi sovranismi, i bassi localismi, i triti nazionalismi e i tribalismi incerti, più che gli etnicismi. La guerra ucraina è mondiale ben al di là del fatto che la si consideri limitata al Donbass o poco più in là.
Ancora, quella scena di umanità nella guerra racconta il bisogno della persona umana di leggerezza. Non tanto e non solo di effimero, ma proprio di leggerezza. La piuma. Non per niente Italo Calvino parlava della leggerezza come di una delle sfide del Terzo Millennio: vivere con leggerezza, non tanto e non solo come antidoto a ciò che è pesante, alle corvée lavorative, allo sfascio delle relazioni una volta tradizionalmente stabilite, al tedio di un’esistenza di agi senza senso, ma con la leggerezza della coscienza a posto, del compito arduo portato a termine, della pace sparsa attorno a sé.
Infine, la persona umana ha bisogno di riti, come il calcio che da tempo è diventato una Grande Messa universale, con adepti in ogni angolo del mondo: ovunque si vada, nelle palafitte di Siem Reap in Cambogia, nelle capanne della periferia di Luanda, negli igloo degli inuit, quando ci si palesa come italiani ci si trova, l’ho sperimentato, inseriti in relazioni sovra-linguistiche Inter-Juve-Milan… A parte gli scherzi, i sentimenti religiosi, quelli che legano gli umani (re-ligio) sono più forti di qualsiasi altro legame. Negli ultimi decenni, tali legami hanno spesso lasciato templi e chiese, moschee e sinagoghe per stabilirsi in altre umane attività – sport, arte, cultura, videogiochi, industria del lusso… – ma conservando alcune note fondanti del sacro: il superamento del limite, il comporsi in comunità credenti, il coniugare il fisico con lo spirituale, l’integrare il sogno nella realtà…
«E la guerra a che punto sta?», mi chiede la caporedattrice. Purtroppo non lo so, è molto difficile capirlo, anche perché la menzogna e l’infingimento sono le armi principali in mano oggi ai contendenti, spaventati dal Generale Inverno. Avete notato che il nuovo B-21 (costa quasi un miliardo di dollari ad esemplare, e gli Stati Uniti ne hanno ordinati, per ora, 77, Oh my God!), bombardiere nucleare considerato invincibile, ha come sua caratteristica principale quella di scomparire agli occhi del nemico, inviando una tempesta di false informazioni?
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