Molmenti doro
Ci siamo emozionati ed è giusto così, perché la canoa slalom da noi non è sport di primo piano. Ventitré porte da infilare senza sbavature domando la canoa tra correnti, onde e vortici. Qui l’errore costa caro: toccare i paletti sospesi sull’acqua equivale ad accumulare pesanti secondi di penalizzazione. Bisogna essere maghi, maestri delle acque, esperti marinai, bisogna avere talento e un pizzico di follia che in questi casi non guasta mai. Intelligenza, coraggio e precisione, sono le doti umane richieste, ma da sole non bastano perché quando si tratta di risalire la corrente con la sola forza delle braccia anche i muscoli contano. Eccome.
Gli slalomisti a pagaia sono dei sarti, intenti a infilare quel filo fatto di traiettorie ed equilibrio nell’angusta cruna di quelle ventitré porte. Chi sulle acque confeziona l’abito migliore vince e ogni quattro anni si veste d’oro: quello più bello, il più sognato, il più ambito. È l’oro olimpico, che a Londra ci ha regalato l’opportunità di conoscere la storia e il sorriso di Daniele Molmenti da Pordenone, atleta del Corpo forestale, 28 anni giusto ieri, nel giorno del trionfo olimpico, ducatista sfegatato, che ha voluto per la sua canoa una impareggiabile livrea rossa. A veder impennare Molmenti sulle acque a pochi secondi dal via, un brivido ci ha scossi, profani come siamo di questo sport, mentre lui con ogni probabilità si è sentito sfrecciare al Mugello in sella ad una moto.
Il suo sorriso, la sua gioia, la sua grinta: questa è l’Italia che ci piace, oggi ancor di più, perché nell’epoca dello spread e della crisi anche una medaglia d’oro può contribuire a dare fiducia, un messaggio di speranza, una nota di colore tra le tante, troppe, stonate. Daniele, nel giorno del suo ventottesimo compleanno si è regalato la medaglia d’oro più prestigiosa, ma il regalo più bello in realtà lo ha fatto a noi italiani al pari del trio d’archi Frangilli, Nespoli e Galiazzo e del podio tricolore Di Francisca, Errigo, Vezzali, perché certe emozioni non hanno prezzo e nemmeno la crisi può portarcele via. Forse è per questo che siamo così assetati di medaglie.
Ieri alla Lee Valley White Water, Molmenti aveva il terzo tempo al termine della semifinale. Una discesa non troppo veloce, ma senza sbavature. L’espressione mediocre di Daniele nel bacino d’arrivo e lo sguardo tagliente rivelavano qualcosa. Il bicipite mostrato scherzosamente alla telecamera coronato da un sorriso hanno fatto il resto. Chi poteva ieri pomeriggio, si è incollato davanti alla tivù. Terz’ultimo concorrente della finale, Molmenti ha fatto registrare il miglior tempo (93.43), quando a dover scendere c’erano ancora i diretti rivali per l’oro: il polacco Polaczyk e sloveno Kauzer. È bastata qualche porta per farci capire che Polaczyk era inesorabilmente dietro mentre le penalità hanno contribuito a mettere fuori dai giochi e dal podio anche il temuto Kauzer.
Il gradino più alto del podio è ancora targato Italia o, ad essere precisi, Daniele Molmenti, perché siamo tutti bravi a saltare sul carro del vincitore, magari ogni quattro anni, relegando nel dimenticatoio per il resto del tempo certe discipline che ci portano sul tetto del mondo. Allora grazie Daniele, per averci fatto scoprire uno sport, troppo in ombra, troppo bistrattato, troppo povero, troppo vero per conquistare le prime pagine dei giornali. Ieri mentre scendevi dal podio, scorrevano i titoli di coda della tua impresa. Mentre salutavi il pubblico abbracciando gli avversari, andava nell’aria la celebre colonna sonora del film “Chariots of Fire”, Molmenti di gloria.