Molière: riformatore e genio del teatro
L’anno scorso nel 4° centenario della sua nascita (1622-2022) non si è parlato molto di Molière, né sui media né in tivù, né se non erro a livello accademico. Ed è stato un peccato, sia perché un genio simile merita di essere ricordato, anche per ridare un po’ di cultura a questa società e a questa scuola ormai asfittiche sotto tale aspetto, sia perché il teatro purtroppo è sempre in punto di morte e una “celebrazione” ben orchestrata del primo grande commediografo può servire per riportarlo in auge.
Non sciupiamo allora la nuova chance che abbiamo quest’anno, dato che ora a ricorrere sono i 350 anni (1673-2023) dalla morte di Jean-Baptiste Poquelin, l’avvocato parigino che da autore-attore scelse il suo ben più noto nome d’arte da Molière-sur-Cèze, un paesino francese del midi dove da giovane era passato in tournée.
Da sempre su Molière è circolata quella che forse è una leggenda (secondo me no), e cioè che si facesse consigliare da una servante dove tagliare-aggiungere-rifare i suoi testi teatrali. Di sicuro era attentissimo a incontrare il gusto popolare. Ma era anche colto, aveva frequentato il prestigioso collegio Clermont, retto dai gesuiti, e studiato legge alla Sorbona. Quindi non era in sintonia coi grandi valori etici ed estetici meno di Corneille e Racine, ma con una cifra diversa. Quella comica e satirica, già realistica e proto-borghese, che lo portava a percorrere altre vie rispetto ai due grandi tragici del XVII secolo. Comunque una triade la loro che lascia stupiti e abbagliati dalla sua grandezza, e che illuminò il Secolo d’Oro come il Re Sole.
Molière era familier di Luigi XIV (aiutante di camera diremmo noi) e il re di Francia lo teneva in palmo di mano, tanto da riservargli nell’ultimo periodo il salone del Palais Royal per le sue rappresentazioni, dagli anni ’60 alla fine della sua carriera. E vita, perché come si sa (e quanti attori hanno detto che amerebbero la stessa sorte!) Molière morì su quel palcoscenico durante la recita del suo Malato immaginario, il 17 febbraio del 1673.
Il mirabile di Molière prima ancora del talento drammatico e della creatività innovativa nel concepire-scrivere-rappresentare commedie che sono, alcune, quasi drammi, dramedie le si chiamerebbe oggi, e che hanno fondato il teatro moderno, ispirando e facendo da modello un po’ per tutti i drammaturghi dal ‘600 a oggi; prima di questo, dico, va ammirato il carattere di Molière. Anzitutto la sua resilienza! Mollata la professione forense si era dato al teatro come attore-autore-capocomico, diventando l’amante di un’attrice nota, Madeleine Bejart, e fondando con lei a Parigi, a 26 anni, nel 1648, la compagnia Illustre Théatre.
E qui per Molière fu un flop: pubblico scarso, fischi, urla, ortaggi a iosa volati sul palco. Così l’Illustre Théatre fallì pure sul piano finanziario, e il giovane capocomico si fece diversi mesi di carcere per debiti e bancarotta. Chi a questo punto, con una lucrosa professione in mano e una buona famiglia alle spalle, non sarebbe tornato a codici e pandette? Lui non ci pensò neanche, tanto grande e irresistibile era la sua passione-vocazione per il teatro e la recitazione. E la sua resilienza, appunto. Incassò, sopravvisse, reagì e ricominciò. Restando Molière per il bene di coevi e posteri.
Montò sul Carro di Tespi (teatro mobile) e con la sua troupe per 12 anni, alcuni dicono 14, girò i teatrini provinciali di tutta la Francia, costruendo pazientemente il suo successo e la sua popolarità. Applaudito quasi ovunque, scartati i classici e coltivata qualche anno la Commedia dell’Arte (gli italiani erano di casa, e di scuola, pure per lui), Molière iniziò a scrivere in principio farse, di cui si hanno solo i titoli, e poi le prime commedie, come Lo stordito (L’etourdi) e Il dispetto amoroso (Le dépit amoureux).
La più bella di questo primo periodo di rinascita e successo, Le preziose ridicole (Les précieuses ridicules), segnò l’inizio dei trionfi di Molière come autore, interprete e metteur en scène. Intanto, borgo dopo borgo, la compagnia di monsieur Poquelin si avvicinava a Parigi, a Versailles, alla corte del Roi Soleil!
Da allora vento in poppa per Molière e i suoi attori, che entrarono nelle grazie di Luigi XIV e divennero ufficialmente Troup du Roi, col Palais Royal a disposizione per le loro esibizioni. E va sans dire fu successo pure di pubblico, strepitoso e continuo. Ma quel che più conta, per noi posteri, è che Molière ormai tra esperienze di vita-teatro e propria maturazione era finalmente Molière, pronto a scrivere i suoi capolavori.
Che arrivarono negli anni ’60 e dopo. Dalla Scuola delle mogli (L’école des fammes, 1661) al Tartufo (Tartuffe, 1664), dal Matrimonio per forza (Le mariage forcé, 1665) al Misantropo (Le misanthrope, 1666), dal Borghese gentiluomo (Le bourgeois gentilhomme, 1670) al Malato immaginario (Le malade imaginaire, 1673) e tanti altri titoli divenuti storici. Fu autore formato dalla commedia italiana dell’arte ma staccatosene per altre direzioni, verso il teatro moderno, un secolo prima di Goldoni.
Le sue erano commedie di carattere, con intrecci, ma centrate non su tipi, ma su uomini e donne in carne e ossa, e anima. Molière prese di mira i vizi, le esagerazioni, le contraddizioni della società e delle persone, mettendole spesso in ridicolo e iniziando una satira sociale. E per questo i devots e non solo, arcivescovo di Parigi a volte in testa, lo criticarono e cercarono di distruggerlo. Ma la sua resilienza (!) e la sua forza di carattere lo salvarono sempre e gli lasciarono l’ultima parola. Per nostra fortuna, che lo gustiamo in pratica tutti gli anni e in tutto il mondo per la sua arte, piacevolezza, comicità e verità. Rispecchiandoci nei suoi personaggi.
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