Mohamed Zouaoui: «Ho scoperto la pace»
Lo racconta il coprotagonista dell’intenso “I fiori di Kirkuk”. Attore rivelazione ai Globi d’oro.
Mohamed, 34 anni, ha lo sguardo ridente, senza età. Libero come il mare presso cui è nato, a Mahdia, in Tunisia, figlio di un ex insegnante. Promessa del calcio locale, ha fatto il fotografo e l’animatore turistico in Svizzera, in Sud Italia, in Sardegna. Poi, a Roma, l’istintiva vocazione d’attore. Diverse fiction di successo (Ris, La squadra, Capri), dove è «il solito nordafricano poco di buono», augurandosi però che agli attori immigrati vengano affidati ruoli «diversi e importanti»: sarebbe un «cambio di cultura per l’Italia», afferma vivace.
Infine, il cinema e il successo con I fiori di Kirkuk, di Fariborz Kamkari, regista curdo-iraniano, il film «che gli ha cambiato la vita».
«Il regista mi avrebbe voluto nel ruolo del medico Sherko, ma al provino – racconta – mi sono presentato con la divisa del soldato Mokhtar, un personaggio più poetico e intrigante: e l’ho spuntata. La lavorazione in Iraq – nel Kurdistan, a Erbil – mi ha cambiato il modo di vedere le cose. Ho scoperto la durezza del conflitto tra curdi e iracheni. Pochi sanno che la maggior parte dei kamikaze non sono iracheni, ma arabi e nordafricani, perciò la diffidenza nei confronti di un tunisino come me, per di più vestito, per ragioni di scena, da soldato, era enorme. La cosa più terribile era lo sguardo dei bambini. Erano terrorizzati, mi scambiavano per un ufficiale di Saddam Hussein».
Mohamed viene a conoscere la persecuzione del regime nei confronti dei curdi – fino ad allora, come parecchi nordafricani, considerava Saddam un eroe –, e si accorge di quanto poco sia nota.
Il film è quindi per Mohamed una esperienza di vita. «A trent’anni –ammette – ho cambiato mentalità. Recitare nel ruolo di un soldato che per la sua donna sacrifica la carriera e la vita, mi ha convinto che l’amore e la pace sono i valori più grandi. Il mondo cambia solo se ci sono persone che sanno amare come i protagonisti del film: come Najla, la donna medico che passa dalla parte delle vittime e paga con la vita. Per me, infatti, la donna è la creatura simbolo della non-violenza».
In questo film, Mohamed ha dato tutto sé stesso; gli resta un senso di gratitudine per tanti: «Per la gente di Erbil, per il coraggio del regista e della produttrice, per la mia famiglia».
Ora, dopo il premio, con nuovi progetti in attesa, cosa desidera? «Vivere nel presente la mia vita: il mio futuro lo costruisco adesso. E poi imparare tutti a sorridere: siamo troppo tristi».