Modigliani, Soutine e gli amici

Artisti maledetti, disadattati e squattrinati che popolavano Montparnasse nei primi anni del Novecento. Un commerciante d'arte ne raccoglie le tele, in cambio di viveri. Ora sono esposte a Roma, a Palazzo Cipolla, fino al 6 aprile
Modigliani

Erano tutti lì a Montparnasse: Modì, Soutine, Utrillo, Vlaminck, Picasso, Braque, Chagall, Kandinsky… I poeti della tela e del disegno, gli artisti “maledetti”, squattrinati, disadattati, in cerca di successo e di sé stessi. Per le strade parigine si aggirava Jonas Netter, commerciante appassionato d’arte, con un fiuto speciale per la modernità. Li conosce, gli paga vitto e alloggio, talvolta gli salva la vita: loro gli cedono le tele in cambio di viveri, lui non pensa che un giorno queste opere saliranno a un valore altissimo.

Netter le colleziona gelosamente, finché gli eredi decidono di costituire una Fondazione che aiuti chi, come allora, ha bisogno di aiuto. Ed espongono le tele a Roma, a Palazzo Cipolla, fino al 6 aprile 2014 (catalogo Il Sole 24 Ore).

Saranno stati maledetti questi artisti, per il disordine  della loro vita, ma esprimevano l’inquietudine del primo ventennio del Novecento, anni di fine di un mondo e di ricerca di un qualcosa di nuovo. Vie diversissime l’una dall’altra quelle degli artisti, eppure con un fondo comune: la sospensione tra contemplazione, disperazione, accidia e voglia di spremere dalla vita tutto il possibile.

In un individualismo selvaggio, cercavano la bellezza. Ma quale? Osservando il centinaio di tele esposte a Roma, ci si apre già il nostro mondo attuale, un caleidoscopio di immagini, di rapimenti coloristici, di virtuosismi e di ansie: tanti artisti, altrettante forme di bellezza. Le numerose tele di Modigliani, uomini e donne dai volti  allungati: un linearismo alla Botticelli ma senza la sua "grazia”, bensì un affanno e una malizia anche (Ritratto di Jeanne Hébuterne), un nascondimento però della più intima verità grazie a colori palpitanti. Chaim Soutine è più espressivo, si direbbe più feroce di Modì: La pazza del 1919 ci aggredisce dal blu della casacca con gli occhi spiritati (ma sono i suoi o quelli del pittore?). Certo è che Soutine è rabbioso, dipinge a grossi colpi, siano fiori o pesci o case: un pennello furioso, macchiato, un colore grasso che cola dalle carni di un leprotto come dagli alberi di un bosco, o di volti imbruttiti dei ritratti. Nessuna dolcezza alla Modì, solo esasperazione di un tempo difficile.

Certo che l’incupimento è grande, basti guardare alcune opere di Isaac Antcher come La valle dei lupi del 1928, che sa di film horror negli alberi scheletrici come nel colore impallidito. Oppure Vlaminck, anch’egli innamorato-disperato della vita. Il bellissimo Mazzo di fiori del 1915-16 a macchie immense di rossi e blu è una esplosione come la guerra contemporanea, qui di vita che lotta per non morire.

A volte ci si placa, ed è allora Michel Kikoine a dipingere  nudi, paesaggi, fiori morbidi, di una dolcezza nascosta, come se l’anima si vergognasse di continuare a vibrare.

Così tra lirismo e dramma, i “maledetti” parlano ancora della loro giovinezza – morranno molti tra il ’50 e il ’60 del “secolo breve" –, ribelle, impetuosa, anche malata. Anticipo di quella contemporanea, e come questa, assetata di orizzonti nuovi. Loro hanno cercato di aprirli, e ci sono forse riusciti.

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