Modigliani, lo sguardo velato

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C’è un pittore “cieco” nella Parigi fra Montmartre e Montparnasse sulle soglie del Novecento. Un ragazzo toscano, dall’aria “sdegnosa”, che dipinge ritratti di uomini e donne dai colori accesi, le forme allungate, la linea sensuale ed acuta. Modigliani – Modì, per i parigini – sembra un Simone Martini, un Botticelli, un Parmigianino.O,meglio, un pittore giapponese, uno scultore africano creatore di una bellezza esotica e aristocratica. Arte difficile, altera, la sua. Non commerciabile facilmente. Non facile neppure per i modelli, che si sentono spiati fin nel profondo, da uno che non si ferma ai corpi e ai volti, che pur tratteggia con passione, ma indaga l’inesprimibile dei loro pensieri. Quasi gli fa paura, tanto è sincero: così che loro stessi, la loro parte più intima, alla fine non si appartengono più: diventano immagini dell’umanità. Questo è Modì. Sono occhi, i suoi, che vedono e non vedono, sondano il mistero, lo afferrano, ma lo perdono subito: come se la luce del secolo nascente fosse intermittente. Ed intermittente, in verità, è la sua poesia, fra passione per la fisicità dell’esistenza e tensione a qualcosa di eterno. Ci sono corpi – donne appariscenti, amici e compagni di vita, persone qualunque – legati alla terra, dai colori brucianti e spianati, in cui Modì resta alla soglia dell’anima. Se non fosse che la linea – che è il suo “verbo” – si spinge acutamente in alto, modula le inflessioni non solo della forma ma di ciò che vi sta dietro, la sintetizza in una nota verticale: l’anima esce allo scoperto, per un attimo gli occhi “vedono”. E noi dialoghiamo con lei. Percorso rapido, ma non indolore, quello di Modì, nella Parigi di Apollinaire e Picasso, Vlaminck, Satie e Pissarro, cioè di un mondo culturale in pieno fermento, dove è difficile trovare la propria strada. C’è ancora l’amato Cézanne nel Suonatore di violoncello, anno 1909, colore e musica come “atmosfera”, sguardo impenetrabile. Ma la Mendicante dello stesso anno, sorella di certo Picasso introverso e cupo, guarda ormai dentro di sé, indifferente all’esterno, chiusa in un’oppressione spirituale. C’è l’eco di Toulouse- Lautrec, ma senza la sua disperazione. Pure, vita e arte in Modì alternano lacrime e luce. Le lacrime di un’esistenza precaria e disordinata – da artista maudit -, la luce di alcuni approdi assoluti. Ricerca sofferta, che lo estrania dal mondo e dagli avvenimenti, concentrato quasi unicamente sull’arte. Così nel 1915, quando l’Europa è immersa nella guerra mondia- le, Modì sembra non accorgersene. Picasso, Apollinaire, gli Espressionisti esprimono la dissociazione dell’uomo moderno; lui si astrae dalla realtà, quasi con una tensione “mistica”. Non diversamente si possono definire le Teste di donna, sculture sconcertanti nella loro verticalità spirituale in cui il modello “africano” è superato con un afflato che non è improprio chiamare “religioso”. Perché in Modì, l'”angelo” che è in lui a tratti riaffiora a intuire la bellezza assoluta. Poi, il pittore si volge a cercare sulla terra, a possedere la vita. Dal Nudo biondo accattivante, alla Serva tristemente sfinita, all’amico Paul Guillaume con lo sguardo chiuso su sé stesso e aperto, senza vederlo, sul mondo. Lui, Modì, apre uno spiraglio pudico: si ritrae come Pierrot, poeta lunare e candido, avvolgendosi di tristezza grigia. È una confessione ritrosa: Modì ha l’anima “angelica”, assetata di purezza, anche se – come il suo tempo – è un angelo che ha perduto le ali: ma può sempre tentare di volare, per “vedere” di più. Si guarda intorno, e coglie il pianto del mondo nel Ritratto di donna con giubbetto bianco (1917) in cui la pupilla, finalmente libera, è irrorata di lacrime, con la medesima desolazione dei contemporanei versi di Apollinaire o Ungaretti, entrambi al fronte. Arriva fino a noi, attraverso l’ armonia di curve e colori la sofferenza di questa donna anonima, diventata, grazie a Modì, voce della bellezza sfiorita. A volte, la tensione creativa diminuisce: il pittore si “riposa” in un certo preziosismo formale, quasi narcisistico come nel Ritratto di Pierre-Edouard Baranowski, pastello su pastello; o nella Cantante di Café-concert, icona annoiata di una BelleÉpoque al tramonto. Come l’artista. Fra viaggi, malattie, disordini, Modì nel ’18 dipinge l’ultima compagna, Jeanne Hébuterne, pittrice e disegnatrice come lui, ma più vulnerabi- le. Questa fragilità è lumeggiata nei ritratti “al naturale ” o “con cappello”, dove gli occhi ciechi velano un’anima “impassibile”: ma sarà vero? La meteora Modì indaga e raggiunge, nel ’19, un capolavoro di musicalità della linea, sensibilità cromatica, con una nuova qualità: la forza. Lunia Czechowska possiede un volto stagliato come un sole, pare che tutta la luce della sua anima vi si rifletta, ed il velo degli occhi è una porta sull’interiorità, circondata dagli scuri dell’abito. Modì ha raggiunto, pare, una nuova immagine di bellezza: irreale eppure vicina, inattingibile ma affascinante, perché – e forse non si saprebbe spiegarlo – vera. La donna reale (è pur sempre un ritratto dai lineamenti personali) si trasfigura non in un simbolo astratto, ma in un ideale superiore: il ritratto dice ciò che in questa donna non può morire. Questa è la forza che emana dalla tela, la sua voce di trionfo, in mezzo a tanto dolore. È l'”angelo” Modì che ha ritrovato le ali? Forse. L’anno dopo, il ’20, la tisi se lo porta via. Artista maudit per la cronaca; per noi, da oltre settant’anni, indagatore delle pieghe dell’animo umano. Amedeo Modigliani. L’angelo dal volto severo. Milano,Palazzo Reale, fino al 6/7 (catalogo e promozione del gruppo Skira) UNA VITA “BRUCIATA” 1884: nasce a Livorno da famiglia ebrea. Già gracile di salute, cresce molto protetto. 1899: lascia gli studi per dedicarsi alla pittura. Soggiorna a Roma e poi a Venezia. 1906: a Parigi, dove conosce Picasso, Apollinaire, Derain, Max Jacob. Cambia spesso casa,è in difficoltà finanziarie. 1910: partecipa al XXVI Salon des Indépendents. I critici non lo notano, vive in povertà. “Scopre” Cézanne, si dedica alla scultura. 1913: dopo anni di stenti, malato, torna a Livorno. Rientra presto a Parigi, per la salute è costretto a lasciare la scultura. Il mercante Paul Guillame nota il suo lavoro, vive a Montmartre. 1916: conosce Jeanne Hébuterne, sua ultima compagna. L’anno dopo fa scandalo con i suoi “nudi”. Nel ’18 espone insieme a Picasso, Matisse, Utrillo e De Chirico e nel ’19 a Londra. 1920: la salute peggiora, muore il 24 gennaio. Il giorno dopo, Jeanne, incinta, si toglie la vita. La mostra. Quattro sezioni, 144 opere, 42 disegni e 70 lavori di Jeanne Hébuterne, esposti per la prima volta.

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