Modi e Xi Jinping, la diplomazia del gran rifiuto

Il 9-10 settembre prossimi, l’India ospiterà l’edizione 2023 del G20, l’occasione che il primo ministro indiano Narendra Modi attendeva per lanciare definitivamente il suo Paese in un ruolo di assoluto prestigio a livello internazionale.
Narendra Modi, Xi Jinping (AP Photo/Ajit Solanki, File)

Avere tutti i cosiddetti grandi del pianeta seduti attorno allo stesso tavolo e, per di più, in un momento come quello attuale, con il conflitto russo-ucraino e le tensioni fra Usa e Cina, sarebbe la ciliegina sulla torta per la retorica di Modi, oltre che la piattaforma ideale per lanciarsi – in vista delle elezioni previste per il prossimo anno – verso un terzo mandato di fatto scontato.

In effetti, avere Biden, Putin, Xi Jin Ping, Sunak – il primo Primo Ministro di Sua Maestà, di chiare origini indiane –, avrebbe assicurato al premier originario dello stato di Gandhi – il Gujarat – l’immagine di mediatore dei grandi, capace di riunire il gotha della geopolitica attuale sotto la sua presidenza. Tuttavia, nonostante tutte le attenzioni dispiegate nell’organizzare l’evento, qualcosa non sta andando per il verso giusto. Dopo l’annunciata assenza di Putin, già confermata da tempo, rappresentato dal Ministro degli Esteri Lavrov, anche il leader cinese Xi Jinping, che fino ad ora non aveva mai confermato la sua partecipazione al summit, invierà un suo rappresentante, il Primo Ministro Li Quang. Nei corridoi della diplomazia si sussurra che il Ministero degli Esteri di Delhi sapesse da tempo di questa assenza.

Le speculazioni riguardo alle motivazioni che hanno portato a questa assenza fondamentale, confermano l’intenzione del premier cinese di voler prendere le distanze dagli organi internazionali dominati o comunque allineati con l’occidente (leggi: Stati Uniti). Da parte degli organi ufficiali indiani si è ventilata anche una lettura benevola nei confronti dello scomodo vicino asiatico che lascerà, di fatto, vuota la sua sedia. Gli impegni di un leader del profilo di Xi Jinping, ha suggerito qualcuno a Delhi nel corso di una intervista, sono tali che si può comprendere l’impossibilità di partecipare a tutte le riunioni internazionali. Ma la spiegazione sembra piuttosto ingenua, soprattutto se si pensa che si tratta di un G20 e del leader della Cina, grande rivale fra i Paesi emergenti – o già emersi – dell’India.

Altri ancora, in modo assai più plausibile, sostengono che la scelta del luogo per il prossimo G20, lo Stato del Jammu e Kashmir, può rappresentare un grosso ostacolo diplomatico per la partecipazione del Primo Cittadino oltre-himalayano. Il Jammu-Kashmir, situato all’estremo nord del sub-continente indiano, è da sempre al centro di un contenzioso che non pare risolvibile.

L’India ne ha sempre rivendicato il possesso totale e ne considera ufficialmente una parte occupata dal Pakistan. Il Pakistan, da parte sua, ha ingaggiato alcune guerre per riprendersi la zona, che comprende pianure molto rigogliose e ghiacciai himalayani, con località incantevoli e di potenziale destinazione turistica. La maggioranza della popolazione è di religione musulmana, e questo sarebbe il motivo per il quale il governo di Islamabad ne reclama il possesso. La situazione è molto complessa ed al centro di costanti tensioni.

Nel 2019, il governo Modi ha modificato lo status della zona che comprendeva Jammu-Kashmir e Laddakh, trasformandola da “stato” – unità amministrativa con un proprio parlamento ed un chief minister – in due “territori dell’Unione”. Tale ristrutturazione amministrativa permette al governo di Delhi un controllo totale su questa parte del territorio himalayano. La reazione pakistana è stata molto forte con l’accusa al governo Modi, fra l’altro, di discriminare i musulmani.

La scelta di tenere il prossimo G20 in questa regione è ovviamente l’opportunità per Modi di avvallare le decisioni prese, confermarle davanti ai grandi della terra e regolarizzare una situazione di fatto profondamente controversa. Inoltre, l’area comprende anche località – per lo più ghiacciai – rivendicate sia dall’India che dalla Cina. La questione dei confini fra India e Cina è oggetto di incontri bilaterali – una ventina fino ad oggi – che non hanno sortito risultati soddisfacenti.

A complicare le cose è intervenuta una recente pubblicazione del governo di Pechino, che ha ulteriormente alzato la tensione. Il Ministero cinese delle Risorse naturali ha infatti recentemente pubblicato l’ultima edizione della mappa che mostra tutti i territori che la Cina considera sotto la propria sovranità: tra questi vi sono anche lo Stato indiano dell’Arunachal Pradesh e l’altopiano dell’Aksai Chin, parte della regione del Kashmir. Il ministro degli Esteri indiano, S. Jaishankar, ha definito “assurde” le rivendicazioni cinesi (che si estendono anche a Taiwan e a diversi territori nel Mar Cinese meridionale; pretese che hanno fatto arrabbiare i Paesi del sud-est asiatico), ma per tutta risposta le autorità cinesi hanno invitato le controparti indiane a non “reagire in modo eccessivo”.

Eppure, la questione è ancora più sottile e delicata e, probabilmente, non troverà mai una vera e soddisfacente – almeno per i Paesi occidentali – spiegazione. Con il G20 in India, i due giganti asiatici si giocano una partita importante. Questa conferenza del G20, come si diceva, è l’occasione d’oro per Delhi per imporsi definitivamente a livello mondiale, non solo come Paese più popoloso e con un’economia ormai leader, ma anche come player fondamentale a livello geo-politico.

Il ruolo è rivendicato, ovviamente, anche dalla Cina, e per Xi Jinping essere seduto ad un tavolo sotto la presidenza di Modi significherebbe far passare l’immagine di un’India che ha raggiunto il ruolo di assoluto prestigio internazionale. Il mondo occidentale dovrà abituarsi a questa sottile diplomazia asiatica, quella del non-detto che è tuttavia chiaro per tutti, almeno a coloro che comprendono questo linguaggio. Ma tutto questo è ormai diventato parte della geopolitica attuale, e Cina e India (oltre al Giappone) determineranno sempre più questi approcci sottili ma importanti per mandare messaggi al mondo.

Non dimentichiamo poi che anche la questione russo-ucraina sta complicando le cose. Infatti, i molti incontri preparatori al summit non hanno portato Cina e India ad una lettura condivisa della guerra nell’Europa dell’est. In un recente incontro fra i ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali dei G20, Cina e Russia si erano opposte ad alcuni paragrafi della dichiarazione finale, ma con motivazioni diverse. La Cina non può di fatto accettare ciò che Modi cerca di perseguire: che l’India si ponga come leader del Sud globale.

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