Modi, una sconfitta a sorpresa
In un momento storico in cui il Bharatya Janata Party (Bjp) sembra ormai controllare in maniera pressochè assoluta il panorama politico del Paese con una larga maggioranza in Parlamento e con il potere in molti dei governi locali degli Stati del grande Paese asiatico, le elezioni svoltesi a Delhi, la capitale, per il rinnovo del governo locale hanno confermato l’Aap, l’Aam Aadmi Party guidato da Arvind Kejriwal, come partito guida.
Delhi, infatti, non è solo la capitale dell’Unione indiana, ma rappresenta anche quello che da un punto di vita amministrativo è chiamato “National Capital Territory”, una entità quasi equiparata ad uno Stato dell’Unione, governato quindi non da un sindaco ma da un chief minister, un Primo ministro locale, come nella ventina di altri Stati in cui è amministrativamente divisa l’India. Il controllo della vita politica ed amministrativa della capitale e del suo territorio circostante con una popolazione che supera i venti milioni di persone è, quindi, un elemento tutt’altro che trascurabile sullo scacchiere politico-amministrativo nazionale. Lo dimostra il fatto che il Bjp si era impegnato molto in campagna elettorale per poter assicurarsi il controllo anche della capitale indiana, per lungo tempo tradizionale appannaggio del Partito del congresso e della on. Sheila Dixit, scomparsa nel 2019, e negli ultimi tempi controllato dall’Aap di Kejriwal. Quest’ultimo rappresenta un caso anomalo, essendo una entità politica nata qualche anno fa come espressione dell’ “uomo qualunque” ed ha vissuto fasi alterne a livello nazionale, ma che è stata capace di restare al potere a Delhi.
Infatti, nonostante una veemente campagna elettorale guidata in prima persona dal ministro degli Interni, l’on. Amit Shah, vero ideologo del nazionalismo indù e, a detta di molti osservatori, il vero leader dell’attuale governo-Modi, Kejriwal ha perso solo 5 dei seggi guadagnati nelle precedenti elezioni e con 62 presenze nel Parlamento locale ha conservato una larghissima maggioranza rispetto ai 70 seggi a disposizione. Potrà, quindi, continuare a governare la capitale e l’enclave che la circonda senza opposizione. Il suo partito è nato nell’ultimo decennio, grazie ad Anna Hazare, un noto attivista sociale che nel 2011 ha avuto il coraggio di ingaggiare una vera guerra alla corruzione che dilaga da sempre nel Paese asiatico. Per questo organizzò uno sciopero della fame nazionale, proponendo Lokpal Act, una legge che permette di avere quello che è chiamato ombudsman, una sorta di revisore dell’operato dei politici al potere, in particolare del Primo ministro e dei Chief Ministers a capo dei vari stati.
Arvind Kejrwal, a suo tempo, ha cavalcato l’onda di simpatia suscitata da Hazare trasformando il movimento anti-corruzione in un partito – l’Aam Aadmi Party appunto – il cui successo elettorale, su scala nazionale, è rimasto comunque sempre limitatissimo e non è mai uscito dall’enclave della capitale. Il trionfo di questo movimento dimostra, comunque, che Modi non resta, come sembra ormai a molti, imbattibile. Se pure a livello nazionale il suo Bjp governa indisturbato ed è capace di far passare le leggi più controverse mai approvate dal Parlamento indiano, è significativo che proprio nella capitale riesce a mettere insieme un numero irrisorio di seggi. La battaglia sociale condotta da Hazare e, a livello politico, da Kejrwal dimostra che candidati onesti – anche se spesso sprovvisti di lunga e profonda esperienza nell’agone politico – possono rappresentare una alternativa valida all’apparente strapotere del nazionalismo hindu impersonificato dal binomio Modi-Shah. Nonostante Kejrwal si sia affrettato a dichiarare che la vittoria ha rappresentato una lezione per tutto il Paese e per la Madre-India, gli equilibri a livello nazionale, ovviamente, non cambiano e non cambieranno così facilmente ed in breve tempo. Tuttavia, le elezioni locali nella capitale sono un monito per l’opposizione. È necessario scrollarsi da dosso i vecchi scheletri fatti di lobby politiche corrotte e da sempre attaccate al potere e ingaggiare i cittadini su questioni rilevanti all’alba del secondo decennio del XXI secolo.
D’altra parte, non ci si può nascondere che la situazione nel Paese è tutt’altro che facile. Le nuove leggi che hanno caratterizzato i primi mesi del secondo gabinetto Modi – quella che ha limitato i poteri amministrativi e politici del Kashmir, stato a maggioranza musulmana, e quella che ha approvato l’impegno del Paese verso profughi provenienti dai Paesi vicini, escludendo comunque i musulmani – hanno creato un diffuso malessere sociale ed una chiara polarizzazione. Il tutto è stato scandito da scontri fra studenti e polizia e da manifestazioni di piazza con larghissima partecipazione, soprattutto di giovani e di donne. Ultimamente, poi, una politica, chiaramente, senza scrupoli ha portato il Bjp ed i suoi leader a ricorrere anche al padre della patria, il Mahatma Gandhi, per giustificare le proprie scelte politiche. Nelle ultime settimane, infatti, per controbattere le reazioni di larga parte della popolazione che ha riempito piazze e strade per protestare contro queste leggi discriminatorie, fondate di fatto sulla questione dell’appartenenza religiosa e quindi ben lontane dalla proverbiale tolleranza e laicità indiana, il governo ha spesso fatto uso di frasi di Gandhi. Si è arrivati fino agli estremi di un discorso da parte del presidente della Repubblica, Ram Nath Govind, che ha sostenuto di fronte alle Camere, che la recente discussa legge sulla cittadinanza ai rifugiati – il Citizenship Amendment Act (Caa) – è stata approvata per ottemperare ai desideri di Gandhi che aveva affermato, prima della partizione fra Pakistan e India, che il suo Paese era chiamato a offrire rifugio a sikhs, hindù e cristiani che sarebbero fuggiti dal Paese confinante. In effetti, sebbene le citazioni fossero proprio del Mahatma era evidente che erano completamente avulse dai rispettivi contesti in cui erano state pronunciate o scritte e, dunque, pienamente distorte nello spirito con cui erano state pronunciate.
Nelle ultime settimane, poi, il Primo ministro si è impegnato a conquistare le simpatie di minoranze importanti per il suo partito. Nello stato dell’Assam, teatro e contesto della problematica questione delle infiltrazione di bengalesi provenienti dal Bangladesh – e quindi normalmente musulmani – colpiti dalle recenti disposizioni del governo, Modi ha cercato di invitare il gruppo etnico dei Bodo – cristiano e da anni impegnato in una guerriglia anti-governo centrale – ad un patto di pace sociale e politica. La sua presenza nel cosiddetto Bodoland, terra dei Bodo, è stata accolta dai suoi sostenitori come segno ed evidenza della sua apertura e capacità di dialogo. È stata, tuttavia, bollata dagli oppositori come l’ennesima iniziativa mirante a manipolare l’opinione pubblica.
La situazione resta tesa a molti livelli in India, le minoranze sono tutt’altro che tranquille riguardo al loro futuro ma la vittoria di Kejrwal costituisce una speranza di possibile alternativa ed un monito per i partiti dell’opposizione: è necessario trovare coesione politica di intenti e valori e riconquistare la credibilità perduta.