Moccia dal libro al musical
C’è chi li scredita, e sono per lo più gli adulti, c’è chi li ama e sono i giovani, gli adolescenti e in modo speciale le ragazze. Sta di fatto che i libri di Federico Moccia, tutti editi da Feltrinelli, vanno a ruba e, tra questi, Tre metri sopra il cielo ha superato i due milioni di copie vendute; ma vanno alla grande anche i successivi romanzi Ho voglia di te e Scusa ma ti chiamo amore. Al successo dei libri ha fatto seguito quello del cinema che ha consacrato Riccardo Scamarcio idolo dei giovani. Lo stesso successo si ripete oggi con il musical tratto da Tre metri sopra il cielo che, dopo Milano, con un tutto esaurito per oltre un mese di programmazione, viene rappresentato oggi in tutti i grandi teatri italiani in una riduzione curata sempre da Moccia, e pubblicata nel libro 3MSC Emozione e sogno (Feltrinelli). L’autore ha ripetuto più volte, in tv, nelle interviste, nelle scuole, che non ha voluto scrivere un opera didattica, ma ha sentito la necessità di raccontare il mondo degli adolescenti, il loro gergo spesso incomprensibile, i sentimenti, gli smarrimenti e le loro derive. Per questo, forse, i giovani si sono sentiti protagonisti nei suoi romanzi, raccontati a cuore aperto senza pregiudizi, ed hanno risposto positivamente. In una sorta di dichiarazione d’amore, Moccia, infatti, non si è preoccupato nelle sue pagine di esprimere un giudizio, ma di raccontare la vita di tanta parte della gioventù di oggi, liberando emozioni, sollecitando l’interesse per quella scrittura. Si spiega così il successo dei suoi libri e il fatto che egli riceve ogni giorno centinaia di lettere: un fenomeno mediatico e letterario di vaste proporzioni. Il mondo degli adulti parla molto spesso dei giovani, ma non riesce più ad incontrali perché li giudica, li condanna a priori, trovandosi nell’incapacità di leggere il loro mondo interiore, di capire cosa si nasconde dietro le loro violenti reazioni e la loro rabbia. Moccia, invece, guardando questo mondo con tenerezza, ha gettato un ponte lì dove c’era solo un baratro di silenzio e di accuse. Occorre attraversare questo ponte senza nascoste o inconsce rivendicazioni ma solo per un possibile incontro nel dialogo, e dialogo significa prima di tutto ascolto profondo. Massimiliano Varrese, il giovane attore protagonista del musical Tre metri sopra il cielo attualmente in scena fino al 24 febbraio nei teatri italiani, ha dovuto entrare fino in fondo nel romanzo di Moccia per darne una interpretazione convincente. Per le sue capacità di ballerino e cantante, oltre che di attore, ha strappato a Riccardo Scamarcio il ruolo di Step e vive il suo momento magico, frutto di una lunga gavetta, di un impegno costante, di una grande fiducia in sé e nel pubblico, dopo l’exploit della serie televisiva Grandi domani, il film Fuoco su di me di Lamberto Lambertini accanto a Omar Sharif, la doppia serie di Carabinieri e il film televisivo La sacra famiglia, che abbiamo visto su Canale 5 la notte di Natale. Una carriera in ascesa, che corona un sogno inseguito fin da quel giorno in cui, a 18 anni, lasciati gli studi, volle inoltrarsi nel difficile mondo dell’arte. Scuola di ballo, scuola di canto, di recitazione: una scommessa con sé stesso e con la vita che oggi lo porta sulle scene dei teatri italiani, applaudito non solo dai giovani ma anche da un pubblico adulto che scopre in lui una dimensione interiore forte ed incisiva. Il suo sguardo limpido e trasparente arriva dritto al cuore dello spettatore. Il canto – dice subito – è stata una delle mie prime passioni. Già nel ’95 avevo costituito un gruppo con cinque amici del tipo Take That o Back Street Boys per un progetto discografico. Poi l’esperienza si interruppe e mi ritrovai a comporre canzoni. Nel ’98, un contratto con la Bmg… Purtroppo mi accorsi subito che cercano di costruire su di me un personaggio, volevano che diventassi quello che non ero. Abbandonai tutto, pronto a ricominciare da zero. Impianto scenografico innovativo, costumi stile anni Ottanta e una colonna sonora rock di grande presa. Tutto esaurito a Milano, con la presenza numerosissima di giovani e lo stesso nelle altre città italiane. Come ti spieghi questo successo? In questa storia i giovani ritrovano la propria solitudine, il dolore e lo smarrimento tipici dell’età adolescenziale, la tentazione continua dell’evasione, il desiderio di essere gruppo, la reazione spesso violenta ad una società adulta che sentono ostile. La vicenda è significativa. Step è un giovane teppista che si innamora di Babi, una biondina di buona famiglia tutta dedita alla scuola e alle amicizie. È l’incontro tra due mondi, due visioni della vita, che vengono travolti dal sentimento.Un sentimento che lascia subito intravedere dietro la scorza violenta di Step un cuore tenero e romantico. Il musical rispetto al film è più fedele al romanzo ed il teppismo di Step è essenzialmente reazione ad una società adulta che nasconde le proprie contraddizioni dietro paraventi di perbenismo. Pur nel tono scanzonato e spesso umoristico, la sofferenza dei giovani per una distanza tra le generazioni è avvertita come vuoto esistenziale. Non è secondario il fatto che il primo atto di violenza di Step è originato dall’abbandono della madre, la quale ha preferito alla responsabilità della famiglia un edonismo tout court e la ricerca di effimeri piaceri. Ma anche l’instabilità emotiva di Babi affonda le sue radici nel disinteresse più totale dei genitori per le sue problematiche. Dal giovane sognatore Eugenio di Fuoco su di me al teppista Step: due personaggi diversi, ma vicini nel punto di arrivo. Eugenio disposto a sacrificare anche la vita pur di rimanere fedele ai valori dell’amore e della pace appena intravisti. Step che, dopo la morte dell’amico e l’abbandono da parte della ragazza amata, avverte la spinta a ricominciare con una maggiore coscienza di sé. Mi sembra ancora un sogno aver potuto interpretare il ruolo di Eugenio in Fuoco su di me. Quel momento ha significato molto nella mia esperienza e ancora mi porto dentro la frase: Il sognatore deve essere più forte del sogno. Oggi continuo a sognare e a lottare perché le aspirazioni più vere possano realizzarsi. Step è completamente diverso da Eugenio, tuttavia averlo interpretato precedentemente col suo romanticismo e la sua carica ideale mi ha dato la possibilità di donarli a Step nella svolta cruciale della sua vita. Che rapporto hai costruito con la troupe durante i lunghi mesi di prove? Ho capito che dovevo subito aprirmi e creare un rapporto di collaborazione con ciascuno. Poi ho cercato di trascinarli, di coinvolgerli: se m’accorgevo che qualcuno viveva qualche difficoltà, allora bastava una parola o un abbraccio per ridargli nuova forza, nuova energia per andare avanti. Era chiaro in me, fin dal primo momento, che lo spettacolo non doveva essere solo di Massimiliano ma di tutti, e che il musical sarebbe stato artisticamente più forte ed espressivo se si fosse creata tra tutti noi un’intesa profonda, nel rispetto di ogni ruolo. Si parla oggi con insistenza di progetti di prevenzione a violenza e bullismo giovanile. Il musical offre un contributo in tale direzione? Se ci si ferma alla prima parte della storia, dove sono presenti comportamenti e gerghi un po’ violenti, si direbbe di no.Ma bisogna guardare la storia nel suo insieme, e nel secondo tempo le cose cambiano e partono forti input che ci inducono a riflettere. Infatti, dopo la morte di Pollo, Step capisce che la vita non è solo la moto, o fare un po’ di casino e prevaricare sugli altri… Decide di andar via, si avvicina al fratello che fino a quel momento aveva solo sfruttato. Ma c’è anche un altro elemento importante: le famiglie che stanno dietro ai giovani di Tre metri sopra il cielo sono famiglie sfasciate o vuote: genitori con idee strane in testa o che pensano solo alla carriera o ai soldi; e questo deve far riflettere. IL PARERE DEI LETTORI Che ne pensate di Moccia? Lo leggete? Perché? Avete visto il film o il musical? Vi è piaciuto? Il vostro parere ci interessa. Se volete farci sapere come la pensate, scriveteci a: segr.rivista@cittanuova.it indicando come oggetto Moccia.