Moby Dick kolossal e itinerante
La piazza è vuota, sospesa, respira in attesa. Da lontano risuona una voce profonda, ancestrale: venti marinai, venti uomini, venti anime percuotono grandi botti di legno su un carro in movimento; le botti sono vuote, rimbombano avide, in attesa del grasso di balena. L’aria si squarcia e vibra. Il ritmo scandisce il lavoro dell’equipaggio. Raggiunta la piazza, il carro fende il selciato. La musica si espande. Gli spettatori assistono all’arrivo del carro, che diviene palco e in pochi secondi si trasforma in febbrile cantiere navale. Asse dopo asse, sagole, cime e palanchi, i marinai iniziano a costruire la nave. Scheletrica, irreale. È il Pequod. Per tutto lo spettacolo si avvicenderanno lotte, fortunali improvvisi, allegre scorribande; emergono caratteri, affiorano storie. Su tutti pesa l’ombra di Achab e il suo oscuro desiderio di vendetta, l’incubo dei marinai. Con un minuzioso lavoro di macchinazione si compirà l’atto inaspettato. La nave diviene balena. Da tutrice a mostro. Quello che prima accoglieva ora terrorizza: lo scheletro dello scafo si ribalta e assume le forme del temibile leviatano. Finalmente i due nemici si troveranno faccia a faccia per lo scontro finale: Achab e la balena bianca. L’uomo contro la natura, il prodigio, l’ignoto, il dio perduto, la paura che urla dall’abisso: Moby Dick. È lo spettacolo che il Teatro dei Venti, con la regia di Stefano Tè e l’adattamento drammaturgico di Giulio Sonno, va portando in scena da ben due anni, con grande successo, in vari Paesi del mondo, e ora, il 18 agosto presso l’Arena Geotermica di Larderello, provincia di Pisa, nell’ambito del Festival delle Colline Geotermiche, organizzato da Officine Papage. L’Arena Geotermica è un palcoscenico unico al mondo realizzato nel 2017 da Enel Green Power all’interno di una vecchia torre di raffreddamento nell’area della centrale geotermica: uno scenario tanto originale quanto suggestivo, che unisce elementi di archeologia industriale a una moderna concezione di teatro contemporaneo.
Nello spettacolo, l’adattamento del romanzo cerca di recuperare alcune delle voci che animarono la scrittura di Melville (si possono riconoscere echi dalla Bibbia e dal Faust di Goethe, nelle traduzioni di Ceronetti e Fortini) per restituire un respiro iniziatico al viaggio delle genti a bordo del Pequod. Un carro-palco che sia arca, porto e indimenticato relitto al di là del tempo. Il celebre incipit in fondo è un invito al teatro: «call me Ishmael», come a dire, facciamo che oggi sono Ishmael e vi racconto una storia, facciamo che un sogno di umanità torni a rivivere, facciamo che quest’illusione domani diventi realtà.
Nelle note di drammaturgia si legge: «Moby Dick è un’illusione. Tutti credono di sapere cosa sia eppure nessuno lo sa. Se ne parla. È una balena? Un capodoglio? Un mostro bianco? Pochissimi in realtà hanno letto il romanzo fino in fondo: quasi tutti a un certo punto abbandonano. La natura del libro infatti è assai diversa da ciò che film, illustrazioni e antologie raccontano. Pagina dopo pagina la vicenda deraglia dai binari dell’azione, la furia del Capitano Achab esonda i sentimenti della vendetta, la sua caccia impossibile assume un respiro metafisico, e il lettore, confuso, si smarrisce: qualcosa non torna. Cosa? La meta di questa impresa. Perché un gruppo di uomini decide di mettersi in viaggio? Se Melville trasse ispirazioni dalla sua esperienza diretta su una baleniera, dai racconti di mare e dalla letteratura occidentale, egli si nutrì altresì di quel nascente spirito americano che sognava la democrazia. Si può costruire un nuovo modello di società o la massa («the Mob») è condannata alla sopraffazione? Moby Dick diventa allora il «genio della folla», la sintesi impossibile, il leviatano spietato di Hobbes che divora il trascendentalismo di Emerson. Ma per quanto ogni civiltà sia destinata a scomparire tra le ruote della storia, la tensione al viaggio sempre sopravvive, sempre un giorno un gruppo sparuto di uomini deciderà di spingersi su acque incerte per scoprire se un altro modo di vivere sia possibile. Così la caccia di Moby Dick diventa l’inseguimento di un’illusione».
Il Teatro dei Venti prosegue la sua ricerca artistica negli spazi urbani con questo spettacolo che entra in relazione con le comunità e con i temi di un classico della letteratura mondiale. L’ambientazione marinaresca ed epica del romanzo di Melville incontra il suono arcaico delle botti della tradizione campana, in un lavoro costituito dalla riflessione filosofica sull’ignoto, dalla contaminazione tra linguaggi da occidente a oriente e dall’uso di grandi macchine teatrali. Come scrive Pavese nell’introduzione al romanzo con la sua traduzione, Moby Dick è “l’allegoria della spasmodica ricerca, della sete di conoscenza e di vendetta, del rapporto tra bene e male, della ferocia e forza devastante della natura e dell’uomo”.
“Moby Dick”, ideazione e regia Stefano Tè
adattamento drammaturgico Giulio Sonno
consulenza alla regia Mario Barzaghi
assistenza alla regia Simone Bevilacqua
musiche dal vivo Luca Cacciatore, Igino L. Caselgrandi e Domenico Pizzulo
costumi a cura di Teatro dei Venti, Luca Degl’Antoni e Beatrice Pizzardo
disegno luci Alessandro Pasqualini;
scenotecnica e realizzazione macchine di scena Dino Serra e Massimo Zanelli;
scenografie Dino Serra in collaborazione con il Teatro dei Venti.
Arena Geotermica di Larderello (Pisa), il 18 agosto.
Ingresso gratuito, si consiglia la prenotazione al numero 334 2698007