Mite e il pastore

Odore di fieno tenero e fragrante, è stato il primo profumo che ho percepito oltre l’odore caldo e lanoso di mia madre. Quei primissimi giorni li ho passati sazio e beato tra le coccole della mia mamma Lisetta e del mio papà Ture. Facevo ben poco, si capisce, ero un agnellino di pochi giorni, prendevo il latte quando più mi piaceva, dormivo tra la lana calda e folta di mia madre, e con il mio papà mi divertivo a fare i primi passi nella stalla. Mi piaceva molto camminare, riuscire a far muovere tutte insieme, e con ordine, le mie quattro zampe. Non è stata una cosa facile sapete? e vi assicuro che i primi momenti sono stati molto duri. Le zampe si piegavano sotto il peso del mio corpo e io non sapevo cosa fare. Forza, Cesarino – mi incitava papà -. Tieni duro, spingi in alto la pancia. Capirai! Io ero appena nato, e non sapevo ancora dove fosse la pancia! Dopo un po’ di prove, ricordo ancora che mi tremavano le zampe e credevo che sarei caduto ancora una volta. Invece… stringendo i denti e con l’aiuto della mamma, che col muso mi teneva su il sederino… oplà! ce l’ho fatta! Stavo dritto e fiero sotto lo sguardo amorevole di mamma Lisetta e papà Ture. Insomma, ero proprio felice. Qualche giorno dopo mi hanno portato fuori dalla stalla, a passeggiare sul prato. Che meraviglia! E quanti bei colori vedevano per la prima volta i miei occhi! L’erba verde era tenera e dolce; la mamma mi ha detto di non mangiarne troppa, altrimenti erano dolori per la mia pancia. In alto il cielo, così lo chiamava mio padre Ture, era azzurrissimo, con un bel cerchio giallo, così luminoso che non si poteva guardare. Sapete, gli agnellini quando sono piccoli sono curiosissimi come i bambini, ed io la prima volta che ho guardato il cerchio giallo, cioè il sole, per un po’ non ci ho visto più e spaventato ho chiamato la mia mamma. Cosa ti succede, piccino?. Mamma, ho guardato il cerchio giallo nel cielo e ora non ci vedo più. Se è solo questo non ti preoccu pare, succede a tutti: quando si guarda il sole si rimane come accecati dal suo splendore e per pochi istanti tutto diventa buio. Hai ragione, mamma, ora ci vedo di nuovo! Come è bello il sole!. Una mattina, è successo un fatto strano: noi agnellini ci hanno fatti entrare in un recinto diverso da quello dei nostri genitori. Più tardi sono arrivati degli uomini che hanno cominciato a rincorrerci; io all’inizio mi divertivo, credendo che fosse un nuovo gioco, ma nella corsa ho incrociato Giacinto, un agnellino che spaventato ripeteva: Ci vogliono uccidere, ci vogliono uccidere. Mi sono voltato verso lo steccato da dove proveniva il belare dei nostri genitori e ho cercato gli occhi di mamma Lisetta: lei non belava, ma mi fissava con infinita dolcezza come quando la sera nella stalla, prima di addormentarmi, mi raccontava storie fantastiche. In particolare me ne è tornata alla mente una: C’era un uomo tanto buono che faceva il pastore e conosceva ad una ad una le sue pecorelle; se una sola di esse si smarriva, lui andava alla sua ricerca. Trovatala, se la metteva sulle spalle e cantando la riportava all’ovile. La mamma mi assicurava che non c’era pastore più buono di lui. Ho chiuso gli occhietti sperando che a prendermi fosse proprio lui, il buon pastore. Proprio in quell’istante ho sentito due mani avvolgermi le zampe e in un baleno mi sono ritrovato dentro un piccolo recinto di ferro che traballava facendo un gran baccano (si trattava di un furgoncino). Lì altri agnellini belavano affranti: Ci portano al macello, ci portano al macello. Io che avevo riconosciuto le mani del buon pastore, li ho rassicurati: Vedrete che ci porteranno in un altro prato. Ma loro non hanno voluto credermi. Allora ho cominciato a raccontare la più bella storia di mamma Lisetta. Così si sono tranquillizzati. Quando il camioncino si è fermato, due mani forti ci hanno presi uno alla volta e posati su di un prato fiorito. Avevo il cuore in gola dall’emozione, quando le mani del buon pastore mi hanno trattenuto ancora un pochino ed io alzando gli occhi ho scorto il suo viso buono. E tu? – ha detto l’uomo -. Piccolo fiocco di lana, sei stato il più mansueto. Non hai avuto paura! Forse sapevi già cosa ti aspettava? Per questo tu sarai il capo del mio piccolo gregge e il padrone di tutto questo prato. Ti chiamerai Mite. Dicendo ciò mi ha lasciato sgambettare sorpreso e felice verso i miei compagni nel prato più bello e più grande che avessi mai visto.

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