Misure sempre più drastiche in America Latina per il coronavirus
Parliamo del coronavirus in America Latina, anche se le prime pagine dei giornali della regione parlano dell’Italia. E parliamo d’attualità, anche se ogni bollettino medico è una foto di una o due settimane fa, quando tali persone si sono contagiate. I numeri di oggi li sapremo solo più avanti.
La Colombia sarà in quarantena dal 24 marzo e fino al 13 aprile, si estende dunque al resto del Paese la chiusura già in atto in varie città. Questo fine settimana i casi positivi erano 210 con un decesso. Per il ministro della Sanità, Fernando Ruíz, «se facciamo le cose per bene, possiamo frenare il ritmo di espansione». Tutte le frontiere sono chiuse e le riunioni private sono limitate a un massimo di 50 persone. Chiuse anche scuole, università, bar e discoteche. Isolamento preventivo fino al 31 maggio per le persone dai 70 anni in su. Sono stati destinati maggiori fondi alla sanità e rafforzate le politiche sociali.
Più delicata la situazione in Brasile, dove i casi positivi domenica erano 1.200 con 18 decessi, di cui 15 nello Stato di San Paolo. Il maggior problema pare sia lo scetticismo del presidente Jair Bolsonaro, convinto che non bisogna lasciarsi prendere dall’isteria e che il 60% dei brasiliani nemmeno se ne accorgerà di questa «leggera influenza». Questa domenica ha criticato il governatore di San Paolo che ha messo in quarantena per 15 giorni lo Stato. Per Bolsonaro il governatore è un «lunatico» che sta facendo un gioco politico. Ma il presidente il 15 marzo era a una manifestazione del suo partito con 9 mila persone, stringendo mani e concedendo selfie… Il governo ha decretato la chiusura dei servizi non essenziali e per molti lavoratori si prospetta il licenziamento. Ristoranti, bar, servizi vari non avranno clienti o la loro attività si ridurrà notevolmente e il governo dovrà aiutare alcuni settori sociali vulnerabili durante tre mesi. Le compagnie di volo hanno deciso in prima istanza di ridurre gli stipendi più alti per evitare maggiori licenziamenti. Le grandi fabbriche di auto – Ford, Volkswagen, General Motors e Mercedes-Benz –, hanno anticipato le ferie di 50 mila lavoratori mentre la produzione è sospesa indefinitamente.
Il Messico è ancora un’eccezione che l’Organizzazione mondiale della sanità non riesce a spiegarsi: mentre il resto della regione raggiunge livelli elevati di diffusione, nel Paese i casi positivi sono “solo” 251, con due decessi. Comunque, le autorità prevedono che si arriverà a un 7% di contagi (circa 8,5 milioni di persone), un livello sul quale inciderà il gran numero di pazienti obesi e diabetici. Gli esperti segnalano il buon criterio di aver chiuso le scuole con appena 100 casi (la Spagna lo ha fatto con mille e l’Italia con duemila). Questo significa giocare d’anticipo sulla diffusione del virus. Ma il Paese dovrà anche fare i conti con un sistema sanitario la cui gestione è frammentata ed è da molti considerato un sistema debole.
Con 225 casi, l’Argentina ha chiuso le frontiere ed è entrata in quarantena; il governo ha annunciato un piano per affrontare la crisi sanitaria e anche economica alle porte. L’immagine più eloquente è stata quella dell’annuncio del presidente Alberto Fernández, fatto insieme a esponenti dell’opposizione. Tutti incolonnati dietro il «comandante» che dovrà gestire una situazione tutt’altro che facile. Anche qui, aver anticipato i tempi pare sia stata una misura opportuna. Ridurre i contatti prima di giungere a una eccessiva espansione del morbo. Si può dire lo stesso del Cile, che una settimana fa, con 75 casi, ha chiuso le scuole e invitato la popolazione a restare a casa. Oggi i positivi superano i 630 con un decesso. Da domenica notte si applica il coprifuoco tra le 22 e le 5 del mattino, decisione presa anche in Guatemala.
Sono varie le sfide. La prima è quella di installare un forte senso di responsabilità. Bisogna restare a casa. Non sarà facile, poi, contenere la malattia in aree dove ad esempio non tutti accedono all’acqua potabile. Come lavarsi spesso le mani in questi casi? L’altra è quella di convincersi della debolezza dei propri sistemi sanitari, mettendo da parte l’orgoglio nazionalista. Con 209 milioni di abitanti, il Brasile possiede 3 ventilatori ogni 10 mila abitanti, in tutto 65 mila, di cui 46 mila nello Stato di San Paolo. E questi non mancheranno nelle cliniche di lusso. Il virus non fa distinzioni, ma l’economia sì.