Missionario sulle orme di Paolo

Nel ricchissimo mondo cinese un professore di esegesi biblica scopre nuove dimensioni della missione. L'insegnamento alla scuola della Parola e nella comunione delle esperienze del Vangelo vissuto.
Fabrizio Tosolini

Da alcuni anni mi trovo a Taiwan, dove continuo ad insegnare Sacra Scrittura, dopo aver svolto questo servizio in Italia. 

Quando sono arrivato a Taiwan mi sono trovato in una situazione molto simile a quella da cui venivo: studiare (testi scritti in lingue diverse dal cinese), preparare lezioni, “imparare insegnando”, perché, sebbene a prima vista le Facoltà Teologiche sembrino tutte uguali, sul terreno poi le realtà sono tanto diverse. In questi anni ho avuto modo di approfondire le opere di san Paolo: è stato per me un dono grande, di cui continuamente ringrazio il Signore. 

Un rapporto vero

Innanzitutto penso di dover dire qualcosa dell’esperienza dello studio. Io non ho molto metodo, sono un po’ artista, e questo comporta alcuni svantaggi, sia a livello della ricerca, sia nel momento della presentazione scolastica dei contenuti e infine della valutazione del lavoro degli studenti.

Poiché la spiritualità dell’unità porta con sé l’esigenza di costruire sempre dei rapporti veri, questo vale anche tra me e san Paolo. Così mi sono trovato, senza quasi accorgermene, a cercare soprattutto l’intentio auctoris come unica via per fare esegesi vera, rispondente a quanto il testo biblico richiede.

Questo comporta, anche a livello per così dire tecnico, una serie di aggiustamenti: ad esempio, la ricerca dell’idea che Paolo propone, e del suo sviluppo all’interno del testo; l’attenzione al testo nella sua totalità, alla sua struttura letteraria; l’attenzione agli apporti della storia dell’esegesi, in particolare l’esegesi dei Padri; l’accoglienza di qualsiasi metodo, capace di offrire delle letture per quanto possibile vicine al mondo interiore dell’Apostolo.

In questi anni, nei momenti dedicati allo studio, mi è sembrato di vivere quasi una alternanza di ascetica e mistica: ascetica, nei momenti dello sforzo intellettuale per arrivare al senso del testo, spesso chiuso ad ogni assalto, come una fortezza inaccessibile; mistica, nei momenti delle intuizioni, dell’apertura di orizzonti, quando mi sembrava di “cogliere” san Paolo nella sua unicità spirituale.

Momenti belli e difficili insieme, che mi hanno portato, per così dire, a sentire la presenza dell’Apostolo come amico che mi incoraggiava in ogni mio sforzo di comprensione. Se mi si chiedesse cosa ho capito finora di san Paolo, risponderei che non lo so. Mi piace, però, avventurarmi continuamente tra le sue parole, sicuro di incontrarlo, sempre nuovo. Non mi piace “definire” il suo pensiero, mi sembrerebbe di chiuderlo e privarlo di forza. Preferisco ammirarne dei frammenti, ad uno ad uno, e sento che questa esperienza, in modo quasi inavvertito, trasforma il mio modo di pensare.

Una scoperta che mi sembra di aver fatto, a questo riguardo, si riferisce alla lettera ai Romani. Seguendo alcuni esegeti, penso che la lettera sia scritta per coinvolgere i cristiani di Roma nel progetto di evangelizzare in Spagna. Cercando di verificare questo assunto, mi è sembrato di costatare in tutta la lettera l’estrema attenzione di Paolo, affinché il risultato della persuasione all’impegno missionario non fosse tanto frutto di una azione umana, ma dell’intervento di Dio.

Nella lettera ho visto il paradigma di come un carisma (il carisma missionario di Paolo) entri in una comunità e si perda in essa, la arricchisca del divino, così che, secondo la volontà di Dio, ne venga a sua volta arricchito.

Un solo Maestro

Poi c’è l’insegnamento, quello scolastico, regolare, ma anche le tante occasioni, alle volte davvero occasionali, di parlare della Bibbia e anche di san Paolo. In questo campo mi sembra di aver imparato molto. I miei ascoltatori sono spesso persone convertite di recente; qui c’è una tradizione di studio e approfondimento dottrinale più vicina alle scuole filosofiche antiche che alle moderne università.

Alle volte ho avuto l’impressione che gli studenti non distinguessero tra una lezione di scuola e un ritiro spirituale, che volessero un tipo di comunicazione per aiutare la loro preghiera, il loro cuore, più che la loro discussione, il loro cervello.

La mia prima reazione è stata di sorpresa e per una lunga serie di motivi sentivo di dover insegnar loro l’importanza del sapere critico. Poi ho cominciato a pensare che forse avevano ragione loro e che ero piuttosto io quello “arretrato”, che non sentivo come le cose di Dio si possono toccare solo in atteggiamento di preghiera.

Così ho cominciato a sentire e a proporre le lezioni come momenti in cui sperimentare, nello scambio insegnante-studenti, la consolante presenza del Signore, unico Maestro. Mi sono dedicato con maggiore attenzione a tutti i momenti relazionali dello stare a scuola, ho valorizzato al massimo le esperienze di vita cristiana, e in particolar modo quelle di conversione, con cui venivo a contatto; ho mescolato la presentazione critica del testo biblico con l’offerta di alcuni spunti di riflessione, meditazione, contemplazione.

Con mia sorpresa ho potuto spesso constatare che, quando presentavo i risultati dell’esegesi critica, gli studenti per così dire si spegnevano, mostravano segni di fatica nell’ascoltare; quando invece parlavo di cose spirituali – legate ovviamente al testo biblico, per non andare fuori tema – i loro occhi si ravvivavano, si sentiva un grande silenzio d’anima e alla fine della lezione si manifesta la gioia per aver colto qualcosa di profondo e di vero. 

Sensus discipulorum

Piano piano sto dimenticando i miei antichi parametri e sto apprenendo dal sensus fidelium (o, in questo caso, dal sensus discipulorum) come avvicinarmi e come presentare le parole delle Scritture in questo contesto scolastico. Mi sembra un’esperienza portatrice di speranza per tutta la Chiesa.

Durante le ore di scuola ho vissuto tanti momenti di profonda commozione collettiva, nei quali, spero, sulle orme di san Paolo, alcuni di questi fratelli e sorelle abbiano sentito quanto è prezioso quello che Dio ha operato in loro nel lungo percorso della conversione.

Questa esperienza mi ha dato consolazione, perché alle volte mi chiedo che razza di missionario sono, che invece di stare con i cosiddetti pagani, passo il mio tempo con i cattolici più cattolici di Taiwan, sorpreso dalla loro sapienza, invitato a convertirmi dalla loro pietà.

Se in queste persone si apre la fonte della sapienza, sicuramente saranno missionari molto migliori di me. 

La Parola vissuta

Come parte del servizio di insegnamento, occasionalmente, in alcuni incontri ho potuto spiegare bene, e mostrare praticamente, come vivere la Parola e condividere le esperienze vissute. Per un anno, con un piccolo gruppo di 5 persone, abbiamo passato tutte e due le ore dedicate ad un programma di spiritualità per laici a raccontarci esperienze. Piano piano è nata tra noi una profonda comunione e un bisogno di vivere ogni nostro incontro, dentro e fuori la scuola, in quella dimensione di cielo.

Un giorno, mentre si aspettava la metropolitana, una signora di questo gruppo ha subito colto l’occasione dei pochi minuti di attesa per condividere il momento d’anima che stava vivendo, tra dolori e scoperte spirituali. Ho visto che dove si vive insieme la vita cristiana, dove la spiritualità è “a corpo mistico”, le persone si illuminano.

Mi sembra che questo modo sia un carisma tipico della cultura cinese, dove il rapporto interpersonale, in tutti i suoi aspetti, è sentito come qualcosa di fondamentale. Forse non è un caso che, qualche tempo dopo, il papà di questa signora, già molto malato, abbia voluto essere battezzato e il suo funerale sia stato un momento di forte irradiazione del Vangelo. 

Il tesoro della conversione

Un altro punto che si è illuminato, per il convergente contatto con la spiritualità dell’unità di Chiara Lubich e con san Paolo, è il ricchissimo e in gran parte molto insondato mondo della conversione. Chiedendo a vari amici di condividere le loro esperienze di conversione, ho visto la loro gioia, quasi che il loro spirito dicesse: “Finalmente c’è qualcuno che scopre il tesoro che c’è in me!”.

Ho scoperto che la conversione è l’opera di Dio che dobbiamo attendere, riconoscere, venerare, mettere sul moggio. E invece quanta parte del lavoro missionario dimentica questo fondamentale momento, questo miracolo capace di irradiare la sua forza sui secoli, come la conversione di san Paolo che è stato il fondamento di tutto il suo pensiero teologico.

Ho visto che la conversione è la vera inculturazione, operata da Dio e perciò salda e incontrovertibile: quando qualcuno scopre Cristo vivo in se stesso, quando scopre il suo amore e la sua potenza di Risorto, egli vive questo incontro con tutto se stesso, portando nell’abbraccio del Signore la cultura di cui è rivestito.

E mentre il cinese si fa cristiano, Cristo in lui si fa perfettamente e totalmente cinese, non secondo progetti umani, ma con la forza del suo Spirito. Per cui fare il missionario diventa per me, quasi come per Elia nella prova del Carmelo, darmi da fare per preparare l’altare, collocarvi sopra l’offerta sacrificale, preparare tutto il meglio che posso, sapendo però che la parte principale, il fuoco dal cielo, è opera del Signore.

Vivendo così mi viene nel cuore tanta pace e, intessendo rapporti di reciproca carità, sono attento a preparare bene il luogo dove Lui possa scendere.

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