Missionario nel cuore e ricco di povertà
L'articolo di Costanzo Donegana, pime, apparso su "L'Osservatore romano" il 24 settembre per il 150 simo dalla morte di Angelo Ramazzotti, vescovo di Pavia e fondatore del Pontificio istituto per le missioni estere
di Costanzo Donegana
Monsignor Angelo Ramazzotti è autorevolmente ritenuto uno dei più grandi vescovi italiani della prima metà del XIX secolo. Nacque a Milano nel 1800 da genitori originari di Saronno, città situata fra Milano e Varese. Compiuti gli studi primari e liceali, si iscrisse alla facoltà di legge dell’università di Pavia e si laureò nel 1823. Dopo due anni di tirocinio, lasciò la carriera di avvocato per intraprendere gli studi teologici in vista del sacerdozio. Ordinato a Milano nel 1829, lo stesso giorno entrò fra gli oblati missionari di Rho, una congregazione diocesana dedita alla predicazione di ritiri, missioni popolari, di cui per tre volte fu superiore.
La sua passione, infatti, era l’evangelizzazione, cui si dedicava in modo instancabile in tutto il vastissimo territorio della diocesi di Milano; spingendosi fino agli angoli più remoti e difficili delle montagne, dovunque ci fosse da annunciare la Parola di Dio, amministrare i sacramenti, visitare e confortare i malati; entrando nei casolari più inospitali, mangiando il povero cibo degli abitanti. Una caratteristica che sempre brillò nella sua vita fu lo spirito di povertà e l’amore per i poveri. Già in quei primi anni del suo sacerdozio aiutava generosamente persone bisognose e, soprattutto, nel 1837 aprì un oratorio in un ex convento che aveva ricevuto in eredità a Saronno, accogliendo fino a trecento ragazzi e giovani.
Nello stesso locale ospitò un orfanotrofio, di stilefamiliare, dove anche sua madre, rimasta vedova, seguiva con amore i bambini. Scrive il suo primo biografo, don Pietro Cagliaroli: «Si fa povero veramente, povero e gramo anche negli abiti per dar pane ai bisogni materiali e spirituali degli orfani e dei giovanetti». Durante le Cinque giornate di Milano, su richiesta del Governo provvisorio di Lombardia, accolse nell’orfanotrofio sedici fanciulli figli di soldati austriaci, riuscendo a conservare il clima di armonia abituale in quell’istituzione. In quello stesso periodo turbolento Ramazzotti con altri padri oblati fu invitato dal medesimo governo a fare opera di pacificazione fra i contadini della Brianza in agitazione.
Egli riuscì nell’intento, facendo presente con chiarezza alle autorità che il motivo dei disordini non era politico, ma era causato dallo stato di ingiustizia in cui si trovavano i contadini, sfruttati da alcuni padroni. Angelo Ramazzotti coltivava nel fondo del suo cuore l’idea di dare un contributo alle missioni estere, o partendo lui stesso come missionario o aiutando in qualche modo alcuni seminaristi, che si sentivano fortemente chiamati a questa vocazione. Ma aveva dei dubbi, che però si sono dissolti quando venne a sapere direttamente da un inviato del papa che Pio IX desiderava che in Lombardia nascesse, col concorso dei vescovi, un «Seminario di missioni estere».
Nominato nel frattempo vescovo di Pavia (1849), si mise subito all’opera, contattando gli altri vescovi lombardi per coinvolgerli nell’opera e il 1° dicembre 1850 essi firmarono l’atto formale di fondazione del Seminario (o Istituto). Se questo atto fu del collegio dei vescovi, rimane però chiaro che l’ispirazione profetica originaria fu di Angelo Ramazzotti, cui va quindi, senza ombra di dubbio, il titolo di fondatore del Seminario (o Istituto) delle missioni estere di Milano, che attualmente porta il nome di Pime. (Pontificio Istituto delle Missioni Estere), dopo l’unione voluta da Pio XI col Pontificio Seminario Romano per le Missioni (1926). La prima sede dell’istituto fu la sua casa di Saronno. Ramazzotti, andando a Pavia, ereditò una diocesi senza titolare da cinque anni, percorsa da correnti contrastanti, come la forte tensione nel clero fra la linea risorgimentale e quella ancora favorevole al potere temporale.
Il nuovo vescovo preferiva la posizione conservatrice, ma seppe con saggezza e apertura di idee coltivare rapporti di amicizia e collaborazione con i sacerdoti dell’altra tendenza, affidando loro addirittura posti di alta responsabilità in diocesi. Anche nella relazione con il governo austriaco, pur dimostrandosi suddito fedele, seppe difendere con chiarezza e forza i preti politicamente liberali da provvedimenti punitivi dell’autorità. In altri casi sostenne l’indipendenza della Chiesa con tale forza che fu oggetto di indagini della polizia segreta. I sacerdoti, la loro formazione sia in seminario che dopo, furono una delle sue priorità e giunse a vivere in comune con un gruppo di loro, detti «preti di famiglia».
Essi si dedicavano soprattutto alla predicazione delle missioni nelle parrocchie della diocesi, e lo stesso vescovo ne dava personalmente l’esempio (predicando anche in dialetto). Ramazzotti si considerò sempre e soprattutto un missionario. L’altro versante del suo essere e agire era la carità verso i poveri, che non aveva limiti. Visitava regolarmente i malati negli ospedali. Per le ragazze sordomute aprì una scuola, che manteneva con i suoi beni e che affidò alle suore Canossiane. Queste furono da lui incaricate anche di una scuola per circa trecento ragazze, mentre adattò alcuni locali del suo episcopio per una scuola serale per l’istruzione e formazione professionale di centocinquanta ragazzi e giovani.
Un’altra istituzione, la Pia Casa d’Industria, accoglieva giornalmente numerosi poveri e Ramazzotti tutti i giorni li visitava, fermandosi a chiacchierare con loro, informandosi sulle loro vicende e sui loro bisogni. Come si vede, Angelo Ramazzotti preferiva investire in opere durature piuttosto che indulgere nella carità spicciola dell’elemosina, che tuttavia non trascurava, perché privilegiava il rapporto personale. Per essere ricevuti da lui non servivano raccomandazioni o precedenze, bastava mettersi in fila nell’anticamera; egli accoglieva tutti indistintamente, ricchi e poveri, personalità e gente anonima. In due momenti particolari brillò la sua carità eroica. Durante la terribile epidemia di colera, che devastò la Lombardia nel 1855, egli si recava personalmente al capezzale dei malati nei lazzaretti appunto che i medici dovettero proibirglielo.
E in occasione della piena del Po e del Ticino del 1857 lo si vide recarsi di persona nei luoghi più colpiti, camminando nel fango fino alle caviglie per avvicinare le persone, rendersi conto della situazione per poi organizzare i soccorsi. Per tutti questi motivi, l’imperatore d’Austria lo propose alla sede patriarcale di Venezia. Vi arrivò nel 1858 e vi rimase solo tre anni, fino al 1861, consumato dalla salute cagionevole e dal suo stile di vita povero e totalmente dedicato agli altri. Eppure, in quel poco tempo ebbe modo di distinguersi per alcune decisioni significative, come, in primo luogo, la convocazione e realizzazione del concilio provinciale del Triveneto — di cui egli era primate — in cui i vescovi della regione affrontarono insieme i più importanti problemi della Chiesa della loro regione. Intraprese la visita pastorale, cominciando dalle parrocchie più povere dell’Estuario e sfidando i sacerdoti a chiedere di esservi assegnati. Continuò a prediligere i poveri.
Cagliaroli testimonia: «L’atrio, l’anticamera, a volte, si può dire che ne formicolassero». E continua: «Negli ultimi tempi, sempre crescendo i bisogni dei poveri (…) ordinò che si vendessero le argenterie della casa». Il 26 febbraio 1861 Francesco Giuseppe lo nominò deputato della Camera dei Signori del Consiglio dell’imperatore. Ramazzotti parlava perfettamente il tedesco e poté prendere parte attiva a una riunione a Vienna, difendendo il punto di vista della Chiesa sul matrimonio e ottenendo la liberazione di alcuni sacerdoti veneziani detenuti per motivi politici.
Il 10 agosto dello stesso anno il cardinale Giacomo Antonelli, segretario di Stato del Papa, gli comunicò la decisione di Pio IX di farlo cardinale. A malincuore acconsentì, facendo però presente: «Mi troverei assolutamente impotente a sostenere le spese che occorrono a farsi all’occasione di nomine cardinalizie». I poveri avevano prosciugato i suoi averi! Angelo Ramazzotti non raggiunse però la porpora, poiché morì il 24 settembre, tre giorni prima del concistoro segreto nel quale il Papa l’avrebbe elevato a quella dignità. La causa di beatificazione è conclusa nella fase di studio. Manca ora solo la
dimostrazione di un miracolo compiuto per sua intercessione.
*Direttore dell’archivio del Pime