Misericordie!
Rientro tra le categorie “fortunate” che hanno diritto al vaccino prima di altri. Così l’altro giorno, dopo aver fatto tutte le procedure informatiche del caso, mi sono ritrovato in fila per la mia dose di AstraZeneca. A Firenze. Avevo appuntamento alle 8 e 9 minuti di mattina, e alle 8 e 12 ero già seduto sulla mia sedia in un ampio palasport, a distanza più che regolare dagli altri fortunati, per il quarto d’ora canonico di attesa, onde evitare eventuali malesseri immediati. Tanto di cappello alle autorità sanitarie delle amministrazioni locali interessate, ma soprattutto al personale sanitario di un’affabilità e di una gentilezza che hanno commosso non poca della gente che era in fila per farsi bucare il braccio. Una volta tanto, la gente si è avvicinata al medico dall’ago sguainato col sorriso sulle labbra (anche se nascosto dalla mascherina).
Quel che più mi ha colpito è stato però il drappello di volontari che gestiva il flusso dei vaccinandi. Alcune centinaia di persone organizzate in turni per assicurare le questioni di ordine pubblico, l’assistenza a chi aveva dimenticato un documento, a chiunque manifestasse il minimo dubbio o titubanza. Lo sappiamo, la Toscana non è solo la terra dei poeti e dei puristi della lingua; non è solo terra di turismo e di cucina sopraffina; non è solo terra di piccole industrie. La Toscana è anche la terra delle cosiddette “Misercordie”: tra le più di 700 presenti in Italia e riunite nella loro confederazione nazionale, con 670 mila iscritti e con una capacità di mobilitazione di più di 100 mila volontari, la Toscana ne conta ben 311. Si tratta di diverse associazioni di volontariato presenti un po’ su tutto il territorio, in particolare a Siena (57), a Firenze e a Lucca (53), a Pisa sono 42, 27 a Grosseto e via dicendo. Un enorme esercito di “misericordiosi” che in questo periodo di pandemia stanno moltiplicando i loro sforzi, nonostante i pericoli, e nonostante le decine di morti per Covid-19 che tocca enumerare nelle fila dell’associazionismo volontario.
Aspettavo al freddo, battendo i piedi nella lunga fila di candidati, allorché una signora anziana si è sentita mancare. Sono arrivati subito tre o quattro volontari, portavano una sedia, una coperta, un caffè. Poi anche altre persone ne hanno approfittato per prendere un caffè caldo dalle mani dei volontari, anzi no, da un vassoietto, niente contatti. «Siamo qui per servire la gente – diceva un uomo sulla cinquantina di Bagno a Ripoli −: io sono in cassa integrazione, quindi mi sono offerto volontario per questo lavoro. Piuttosto che stare a casa a far niente, ad arrovellarmi il cervello mi sento utile». E una collega, sulla sessantina ben portata, da Sesto Fiorentino: «I miei figli sono in altre città, non posso spupazzarmi le mie due nipotine, sono vedova. Cosa volete che me ne stia a chiacchierare al telefono con le amiche? Qui posso riversare su di voi la mia affettività che ha bisogno di trovare uno scopo. La simpatia, l’empatia e quel po’ di entusiasmo che posso avere voglio condividerli con gli altri». E aggiunge, rispondendo a una mia domanda sui “perché”: «Non creda che lo faccia perché sono credente, anzi sono agnostica. Ma siamo tutti umani, se fossi al posto vostro mi piacerebbe essere accolta con attenzione e anche con una certa tenerezza».
Ancora, una giovane donna si occupa di controllare i documenti all’entrata: «Cosa volete che vi dica, non ho famiglia, non ho lavoro, non ho nulla che mi riempia la giornata. Così mi sento una persona umana». Rischi? «Certo, sono un po’ più esposta di chi resta a casa, ma sono ben più gravi i rischi di deprimersi. Il Covid-19 è una brutta bestia, ma non bisogna lasciarsi sconfiggere dalla sua testardaggine. Io sono ancora più testarda di quel coso». Dalla misericordia alle Misericordie, andata e ritorno. Il virus sembra avere non solo risvegliato la misericordia che ognuno di noi ha in sé, ma ha rianimato anche le Misericordie. Che a loro volta offrono misericordia. Un bel circolo virtuoso.