Mio padre
È il 2 novembre 2016, mi alzo presto perché vorrei andare al cimitero dove riposano i miei nonni e mia mamma. Povera mamma! Nella mia mente si riaffaccia una folla di ricordi di lei. In vita l’unica cosa bella che ha avuto è stato l’amore dei 7 figli. L’ho sempre vista penare. Quanti sacrifici! Mai una vacanza, mai un franco da spendere per sé stessa, ma solo panni da lavare nel lavatoio pubblico con l’acqua fredda; poi stirare, cucinare sulla stufa a legna: polenta o patate, riso e pasta. Avrebbe voluto darci di più e diceva: «Se potessi, vi darei anche il latte di gallina!». Ma i mezzi non c’erano.
Il marito era pochissimo a casa, lavorava come cameriere e tornava quando tutti dormivano già, lo vedevamo solo il sabato, la domenica mattina fino alle 10 e al mercoledì, suo giorno libero. In quelle ore però non c’era pace in casa, lui era il padrone, colui che aveva sempre ragione e che non sbagliava mai. Era così irascibile che non di rado ti arrivava una sberla immotivata. A volte temevo che arrivasse a strozzare la mamma o la nonna o succedeva di ritrovarti chiuso in cantina per ore. Ma più della violenza fisica faceva male quella psicologica.
Era triste vedere la mamma piangere sempre quando lui era presente. Era duro sentire solo critiche, giudizi, mai una parola buona per la mamma o per i figli, mai un incoraggiamento, un complimento, un dialogo, un piccolo regalo o un bacio: non ne era capace! Tutti gli davano ai nervi: la Svizzera era capitalista, gli ebrei gente che pensava solo al commercio, solo i russi erano persone intelligenti, per questo era un sostenitore del comunismo. Il papa e i preti? Gente da arrostire. Meglio non parlare della Chiesa in casa, anche se poi la mamma, una domenica, mentre lui era a lavoro, ci ha fatto battezzare tutti.
Il sogno di mio padre era fare investimenti. Per questo comprava distese di boschi e persino un terreno in Australia. Pensava che un giorno questi terreni avrebbero acquistato valore e li avrebbe potuti rivendere con un bel guadagno. Peccato che non sia andata così.
Noi figli avremmo preferito qualcosa sul piatto o un vestito, delle scarpe al posto di quegli alberi che non andavano neppure bene per il fuoco. La casa era sempre piena di fumo. Finché un giorno se n’è andato via di casa perché stufo di mantenerci lasciandoci pure degli arretrati da pagare. Per fortuna qualcuno di noi figli lavorava già e così siamo andati avanti. In fondo eravamo anche contenti che fosse partito, così la mamma poteva finalmente avere un po’ di pace. Per un lungo periodo non l’abbiamo più visto e nel frattempo qualcuno di noi fratelli si è sposato.
Un giorno, ormai anziano, è riapparso in paese e ha preso un appartamento in affitto. Quando per caso incrociava per strada la mamma, non si rivolgevano parola e noi figli avevamo ben poco da dire. Ma quanta tristezza e che dispiacere!
Tuttavia, pian piano, pensando che pur sempre era nostro padre e ormai anziano, alcuni dei fratelli che abitavano vicino andavano a pulirgli la casa, a lavargli i vestiti, a portargli la spesa e parlare un po’ con lui. Qualche volta andavo anch’io, anche se malvolentieri. I suoi discorsi erano sempre quelli, la mamma a parer suo non l’ha sostenuto nei progetti e per questo non è potuto diventare ricco come avrebbe voluto.
I suoi sogni strampalati continuavano. La mamma è finita per ammalarsi gravemente. Avvicinandosi alla fine della vita, mio fratello ha voluto accompagnarlo da lei per darle l’ultimo saluto, dopo anni che non si erano più visti. In fondo erano marito e moglie, anche se separati.
Quel giorno del loro ultimo incontro c’ero anch’io. La mamma non poteva più parlare, lui l’ha osservata senza dirle una parola. Chissà cosa è successo nei loro cuori! Davanti alla morte si capisce che il tempo passa e ci sfugge. Passano le gioie, passano i dolori e anche noi ce ne andremo. Se tutto passa, so che solo l’amore di Dio resta e passando quella porta la terra e il cielo si incontrano e noi tutti dovremo rispondere a una domanda: come hai amato il tuo prossimo? Nel frattempo sono passati altri anni e i rapporti con lui non erano dei migliori e noi figli non riuscivamo neanche a chiamarlo “papà”, anche se in caso di bisogno qualcuno di noi accorreva.
Ora torno al 2 novembre scorso. Dopo essere stata al cimitero e poi a far visita a due zie anziane dei paraggi, ho pensato: «Sono stata a trovare due zie, perché non recarmi anche da quell’uomo che mi ha dato la vita?». Era da Pasqua che non lo vedevo. Mi ha aiutata a fare il passo la Parola di Vita di settembre: «Perdona l’offesa del tuo prossimo». Nel commento un passaggio di Chiara diceva: «Ma come si può perdonare chi ha distrutto una famiglia? Il primo istinto è di rendere male per il male, serbare rancore e astio però è un atteggiamento che avvelena la vita. La Parola di Dio irrompe con forza e propone la soluzione più difficile e coraggiosa!
Perdonare (…) Il perdono non è debolezza e cioè non tener conto di un torto per paura del più forte che l’ha commesso. Il perdono non è indifferenza. Il perdono è un atto di volontà e lucidità, quindi di libertà, che consiste nell’accogliere l’altro così come è nonostante il male che ci ha fatto, come Dio accoglie noi peccatori. (…) Ci aiuterà a veder chi è nemico con occhi nuovi, riconoscendo in lui anche se cattivo, qualcuno che abbia bisogno di chi lo ami…».
Così, spinta da queste parole così chiare, vitali, sono uscita per andare da lui. Ho bussato alla porta. Era ormai mezzogiorno. Non apriva e mi son detta: «Io la mia parte l’ho fatta e quindi posso andarmene», ma… ho aspettato ancora un po’ pensando che non era di certo un capriolo e ci avrebbe messo un po’ ad aprire la porta. Ecco, la porta si apre, salgo le scale e lo vedo in un lettino, magro, con la barba bianca incolta, un mucchietto di ossa: quello era diventato oramai! Mi ha fatto pena, una pena infinita.
Abbiamo parlato un po’ e quando dovevo ripartire, gli ho preso la mano, quella mano che mai mi aveva accarezzata. L’ho guardato negli occhi con tristezza, ma anche con quella pace che arriva quando capisci che è arrivato il momento di dimenticare il passato per finalmente perdonare. Dal mio cuore è sgorgata infine quella parola mai detta, “papà”!
Angela