Mio padre, vittima innocente di mafia
Antonio Zangara, dipendente presso l’Ente di Sviluppo Agricolo della Regione siciliana, poteva essere un ragazzo, un papà e un marito come tanti, e invece ha una sofferenza nel cuore che lo fa essere diverso. La Mafia gli ha ucciso il padre una sera di 32 anni fa, l’8 ottobre 1983.
Salvatore Zangara, 52 anni, si trovava al bar Palazzolo a Cinisi, seduto con degli amici, mentre il boss Procopio Di Maggio, alleato ai corleonesi di Riina, stava alle sue spalle appoggiato al muro. Sale una macchina a folle velocità, spara sulla folla. Di Maggio, in odio al clan Badalamenti che gestiva allora grandi traffici di droga e aveva ucciso già al criminale un figlio, nell’agguato si salva. Due persone restano, invece, gravemente ferite, una muore. Era lui, Salvatore, vittima innocente di mafia. Antonio Zangara della vicenda non ne ha parlato per 25 anni, se non con sua madre, pietrificato dalla “strana vergogna” d’avere un padre “ammazzato”. Nei paesi la gente mormora, a volte è crudele, e può fare ipotesi che non hanno né capo né coda.
Suo padre era un uomo comune, né un mafioso, né un’attivista dell’antimafia, né uno che ai “capo zona” allora noti si era mai avvicinato. Un tempo, ricordiamo, i boss camminavano indisturbati per le vie, andavano a colazione pure con le forze dell’ordine, e si era soliti pensare che “la mafia è come un cane che morde, se non ti avvicini non mozzica!”.
Oggi, Antonio Zanzara ha aperto gli occhi, dà voce a tutta la sua rabbia ed è divenuto inarrestabile. Ha due bambini a cui vuole spiegare chi era il nonno. E ha compreso, anche grazie a “Libera”, associazione fondata da don Luigi Ciotti e Giancarlo Caselli per la lotta alla mafia, che occorre partire proprio dalla formazione dei ragazzi nelle scuole. In una di queste, la Tenente Carmelo Onorato di Sferracavallo (Palermo), dinanzi ad una platea di ragazzi di terza media amaramente impreparati sull’argomento, ha raccontato che al momento di quel tragico agguato di 32 anni fa, lui aveva appena compiuto 18 anni e si trovava a Terrasini.
L’unico pensiero era decidere dove andare a prendere una pizza con gli amici. Quando uno di loro gli si avvicina e gli dice: “Ma tu cosa ci fai qui? Guarda che hanno ammazzato tuo padre dinanzi ad un bar a Cinisi!”. Antonio, dapprima non gli da tanto credito. È la reazione tipica che avrebbe chiunque dinanzi ad una situazione assurda, inaccettabile, avvenuta troppo presto, lui deve fare ancora mille e più cose con suo padre, non può essere morto.
Si dirige, come un’autonoma, sul posto. «Mi sentivo come un coltello caldo che taglia il burro, andavo fra la folla e mi facevano un varco, anzi scappavano, nessuno mi diceva nulla». Silenzio generale. Poi riprende: «A un tratto un ragazzo mi abbraccia e decide di aiutarmi, mi accompagna all’ospedale, dove si trovava mio padre, che non ce l’aveva fatta». E continua, rivolgendosi agli studenti, dagli occhi sgranati: «Vedete ragazzi, di mafia si muore pure in modo stupido, di queste storie non si parla mai! Si parla dei grandi dell’antimafia che sono morti, come Falcone, Borsellino, Pio La Torre, Rocco Chinnici, ma non delle storie come quella di mio padre».
Salvatore Zangara, allora titolare di un laboratorio di analisi e segretario del PSI di Cinisi e padre di tre figli,come le 300 (su 900) vittime “morte per caso” sta, inoltre, a rappresentare che la mafia tocca tutti, che non è vero che “la mafia è come un cane che morde, se non ti avvicini non mozzica”. Antonio ha, peraltro, un ulteriore rammarico: «Ancora oggi l’omicidio di mio padre è rimasto impunito. Non sono mai stati individuati i mandanti e gli esecutori dell’attentato».
Però qualcosa di positivo è successo: dal 1987, Salvatore Zangara è stato riconosciuto “vittima innocente di mafia” e nel 1995 l’amministrazione comunale di Cinisi ha posto una targa in sua memoria. E non solo. Il 21 marzo 2014, giornata della memoria e dell’impegno, e alla presenza di papa Francesco, Antonio ha avuto l’onore d’essere scelto per leggere i nomi delle centinaia di vittime di caduti per mano mafiosa. Non sapeva ancora che avrebbe letto anche il nome di suo padre. «Non sono un credente praticante – ci ha detto –, eppure sono sceso dall’altare e ho detto a Flora Agostino, sorella dell’oggi coordinatrice provinciale di “Libera”: sono a disposizione per voi, ditemi che cosa devo fare». «Farai formazione», è stata la risposta. Il primo posto dove andrà sarà S. Giuseppe Jato (Palermo) alla “Cooperativa Placido Rizzotto Libera Terra”, nata su un bene confiscato alla mafia, dove ha parlato ad una decina di ragazzi.
Da quel giorno Antonio Zangara non lo ferma più nessuno. Anche se questo significa stonare le coscienze di amici, parenti, conoscenti, sconosciuti, ogni giorno. Anche se sua moglie gli dice ogni tanto che esagera. Anche se i ragazzi delle scuole siciliane, quelli che lui definisce “i destinatari più complicati”, paiono alle volte indifferenti, beffardi, sornioni, o sembrano non avere la maturità per reperire i messaggi. A forza d’essere bombardati però di notizie del genere (al pari di come fanno, in negativo, le pubblicità), reagiranno “sti’ ragazzi, Antonio”. Ma tanta responsabilità hanno anche gli insegnanti, inutile negarlo. E chi, come la maggior parte di noi, è genitore. Rispettare certe regole, avere amore per la legalità e la giustizia, per vivere in una società civile, parte tutto da “dentro casa, e dentro l’aula”. Fuori il mondo è difficile, gli adolescenti sono allo sbando, ‘sentirsi pari’ ai coetanei non facilita. Come diceva lo scrittore Gesualdo Bufalino: «Probabilmente un giorno la mafia verrà sconfitta da un esercito di maestre».