«Mio padre, De Gasperi, sembrava un valoroso guerriero»
«Al tramonto della vita quel che conta è di aver saputo amare», soleva dire Giorgio La Pira, con una celebre espressione che Donato Palarchi, presidente del Circolo culturale “Verso l’Europa” di Arezzo, ha voluto rammentare nell’Auditorium di Loppiano lo scorso 28 novembre 2014, precedendo con i suoi saluti l’incontro-intervista intitolato “De Gasperi e il mestiere della politica”. Organizzata in collaborazione con l’Istituto Universitario Sophia, la serata d’incontro con Maria Romana De Gasperi è stata moderata da Marco Luppi, docente di Teoria Politica presso lo IUS, ed ha visto anche la partecipazione di Rosa Bruna De Pasquale, dirigente dell’ufficio scolastico per la Regione Toscana.
Figlia di Alcide, che seppe ricostruire un’Italia uscita a pezzi dal Secondo conflitto mondiale, la signora De Gasperi, 92 anni di preziosa esperienza e invidiabile tempra, ha rilasciato ai presenti un’intensa e commovente testimonianza. La serata, scandita anche dalla breve lettura di alcuni testi contenuti nell’audiolibro su De Gasperi prodotto dalla Rete Europea Risorse Umane, ha visto alternare confidenze sulla quotidianità domestica e racconti di momenti nevralgici della carriera istituzionale del padre, per il quale «la politica era l’arte di governare, che o si fa o si subisce».
Un politico povero per i poveri
«Quando mio padre morì, pensai di scrivere ciò che la gente dovesse sapere di lui: raccolsi centinaia e centinaia di carte. Bisognava fare capire che uomo era, quello partito con qualche spicciolo in tasca per affrontare gli studi in Austria, che mio nonno non poteva permettersi di pagare», ha ricordato. «A Vienna andò a vivere in una piccolissima stanza e andava a mangiare ad una mensa popolare: fu facile per lui capire per tutta la vita la povera gente, dato che ne aveva vissuto la condizione. Sapeva cosa voleva dire essere ammalati e soli, avere freddo, chiedere la carità ad amici per potere tirare avanti e studiare e andare avanti», ha sottolineato, ricordando qualche racconto del padre, che camminava per le strade di una Vienna di inizio secolo «con un piccolo cappotto non tanto pesante, vedendo aprirsi porte di caldi ed eleganti salotti dove lui non avrebbe avuto i soldi per entrare». «Compravano le mele (trentine) per mettere qualcosa sotto i denti ed uno del gruppo di studenti suonava il violino per raccattare qualcosa», confida. «Un uomo si fa quando è giovane: cominci così se vuoi diventare qualcosa di serio nella vita», commenta la signora De Gasperi chiudendo lo scorcio viennese degasperiano.
Un padre del sogno europeo
«A Vienna – ricorda – stavano con lui uno slavo, un ungherese e altri di diversa nazionalità: questa promiscuità dello studio gli è servita per pensare ad un’unità di popoli europei. Sapeva quali erano i loro bisogni e desideri e quando entrò nel Parlamento viennese, per la sua prima esperienza politica, approfondì le situazioni di questo impero», il cui antico Parlamento riserva ancora la targa indicativa del posto a sedere in ricordo di Alcide De Gasperi. Ricordando Adenauer, Schuman e De Gasperi, ovvero i volti di una Germania semidistrutta, un’Italia povera e una Francia a dir poco provata, che avevano tuttavia anime grandi intenzionate a scongiurare il pericolo di una Terza guerra mondiale, la signora De Gasperi sottolinea «il principio di dare a figli e nipoti un vero avvenire di pace e l’impossibilità di ammazzarsi l’uno con l’altro, cosicché le Alpi da simbolo del confine con il nemico sarebbero divenute colline di passaggio dei progetti Erasmus…». La stessa logica di un esercito comune sottintendeva la necessità di un comandante comune e dunque di una forza politica deliberatrice comune: «Ecco perché papà, antimilitarista, spingeva per questo. Certo, nessuno dei tre padri si sarebbe immaginato che sarebbe passato così tanto tempo, che fosse così difficile per tanti Stati rinunciare a qualcosa per aiutare l’altro: quanta strada è da fare ancora… Non so se i giovani ce la faranno, perché noi non ce l’abbiamo fatta…».
Un uomo libero, al servizio della ricostruzione
«Mio padre fu prigioniero politico, una sofferenza che offrì al Signore, se così avesse voluto che fosse…». Impiegato poi nella biblioteca vaticana, leggeva alle figlie l’inferno di Dante «perché questa è l’umanità», diceva. L’8 settembre del ’44 si nascose in un convento in Laterano, poi venne il tempo di riscattare la speranza italiana della ricostruzione: «Qualche volta mio padre mi sembrava un valoroso guerriero che sguainava la spada: pronto ad ogni sacrificio personale, perché ai principi doveva dare il giusto valore. E non mi importava – commuove la sala Maria Romana De Gasperi – di avere solo due paia di scarpe, anche quando papà era presidente: andava bene così». La memoria di De Gasperi vive oggi anche grazie al prezioso impegno dell’omonima fondazione, situata a Trento. Ma vivrà soprattutto se alla capacità di ricordarlo le più giovani generazioni sapranno accompagnare la corrispondente capacità di essere degne del prezzo pagato da figure come questa per la libertà.